Nel 1964 sul Bollettino di Arte Antica e Moderna, vol. VII, pag. 217, nelle note dell'articolo del prof. Silla Zamboni, dal titolo "Pietro Bracci ed il modello per il monumento di Benedetto XIV", l'Autore, facendosi interprete di tutti gli altri studiosi, lamentava come l'archivio dei Bracci, già nel loro palazzo di via del Corso n. 18, non fosse più accessibile e precisava: "si dice che sia emigrato a Roma, sembra per motivi di eredità".

Questo importante fondo si trovava sistemato in una sala dell'appartamento sito al secondo piano di quel fabbricato ove dimorava la Famiglia, ed era a suo tempo ricco, anzi ricchissimo di carte, lettere, manoscritti, stampe e disegni autografi degli artisti di quella Casata il primo dei quali fu quel Pietro nominato dianzi, eccellente scultore del settecento romano, poco conosciuto - purtroppo dal grosso pubblico che pure giornalmente ammira estasiato il suo gruppo di Oceano, coi Tritoni ed i cavalli marini, nella celeberrima Fontana di Trevi.

Egli, invece, fu figura di spicco per tutto il suo secolo, il XVIII, epoca quanto mai negletta nella valutazione critica dei posteri e che solo dagli inizi del XX si e cominciato a riconsiderare nel suo giusto valore.

Figlio d'arte, in quanto anche il padre Bartolomeo Cesare era artista non mediocre nell'intaglio del legno, egli nacque il 16 giugno del 1700 sotto la giurisdizione dell'allora parrocchia di S. Salvatore alle Coppelle ma fu battezzato a S. Marcello al Corso, studiò filosofia e lettere presso i Gesuiti, praticò disegno per sei anni presso il Chiari(1) e, contemporaneamente apprendeva la scultura dal celebre Camillo Rusconi(2).

Era certamente il più colto fra gli scultori suoi contemporanei, tanto che nel 1724 fu ammesso in Arcadia(3) con il nome di Gilisio Niddano.

La sua prima opera da indipendente è la coppia di busti che si trovano nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo al Celio raffiguranti rispettivamente Innocenzo XII(4) ed il cardinale Paolucci(5), l'ultima il monumento a Benedetto X1V(6) nella Basilica di San Pietro, commissionatagli dai cardinali nominati da quel Pontefice.

Tra questi due capisaldi una produzione imponente. Citiamo fa gli altri: il deposito del già nominato cardinale Paolucci nella chiesa di S. Marcello al Corso, quello del cardinale imperiali(7) a S. Agostino, l'altro del cardinale Calcagnini(8) a S. Andrea delle Fratte, la statua di Clemente XII(9) attualmente nel cortile del Museo di Ravenna, le tre colossali statue per la serie dei fondatori di Ordini Religiosi in S. Pietro: S. Girolamo Emiliani, S. Vincenzo de' Paoli e S. Noberto(10), la statua di Benedetto XIII(11) ed un'altra che rappresenta la Religione per il deposito di questo Papa a S. Maria sopra Minerva, il leggiadro monumentino di Clementina Sobiesca(12) sulla porta della scala per cui si sale alla Cupola in S. Pietro, il bellissimo busto (una delle sue opere migliori) del cardinale Spinola(13) tuttora nella Casa dei Missionari a Subiaco da lui fatta edificare, i monumenti dei cardinali Caracciolo(14) e Millo(15) il primo in Aversa (Napoli) ed il secondo nella chiesa di S. Crisogono a Trastevere in Roma. Inoltre numerose pale d'altare, putti, angeli, bassorilievi ecc. Altre opere andarono all'estero come le due statue di S. Pietro Nolasco e S. Felice di Valois commissionategli da Giovanni V di Braganza re del Portogallo(16). Molti furono gli incarichi per restaurare i capolavori dell'antichità: l'Antinoo della collezione Albani, l'arco di Costantino ed altri.

Si applicò anche all'architettura - sua grande e segreta passione - ma in questo campo l'unica attribuzione certa è la cosiddetta "Porta degli Orfanelli" accanto alla Basilica di S.Maria degli Angeli a Piazza della Repubblica.

Morì il 12 febbraio 1773 nella sua casa in Palazzo Lante a piazza S. Eustachio. Le sue esequie furono effettuate nel Pantheon dove i figli gli fecero erigere un busto ed una lapide che furono poi trasferiti in Campidoglio, alla Protomoteca (dove rimane solo il busto).

Dei quattordici figli avuti dalla moglie Faustina Mancini, solo cinque gli sopravvissero, due femmine e tre maschi: Alessandro, nato il 18 settembre 1730 anche lui scultore del quale, però, si conosce soltanto il busto di G.B. Morgagni(17) nella biblioteca comunale di Forlì; Filippo nato il 10 novembre 1741, pittore, che molti indicano essere l'autore de "La gloria di Francesco Saverio" e de "La partecipazione dell'Eterno Padre alla Passione", entrambe a S. Andrea al Quirinale; ma, più importante di tutti Virginio, nato il 16 agosto 1737, principalmente architetto ma anche valido scultore. È certa la collaborazione con il Padre anche prima del completamento del deposito di Benedetto XIV in S. Pietro che notoriamente e l'ultima opera del Bracci.

Virginio fu allievo del Vanvitellil(18) e del Murena(19), compì studi di retorica, lingua latina e filosofia. Si applicò con molto profitto alle matematiche ed alle scienze idrauliche sotto il celebre professore Padre Francesco Jacquier(20), studiò disegno di figura, ornato e architettura senza trascurare la scultura sia modellando creta che trattando il marmo.

Sono difatti completamente di sua mano i depositi del vescovo Gioeni(21) nella chiesa di S. Paolo alla Regola e quello del cardinale Federico Marcello Lante della Rovere(22) nella chiesa di S. Nicola da Tolentino. Questi estese maggiormente a lui la protezione che già aveva elargito al Padre; fu difatti nell'ambito di questa Casata che egli progetto e terminò la maggior parte delle sue opere: casamenti nei pressi di piazza Farnese e all'arco dei Saponari(23), le parrocchiali di Salisano, Poggio S. Lorenzo Nuovo e Castelnuovo di Farfa, il campanile della parrocchiale di Poggio Mirteto, tutti territori dipendenti dall'Abbazia di Farfa della quale Federico Marcello era Cardinale Commendatario. Non fu mai eseguito, però, il progetto al quale Virginio Bracci teneva moltissimo: il vasto ninfeo commessogli da quel porporato per rendere ancora più bella ed importante la villa che esso possedeva sul Gianicolo. Per il Capitolo di S. Pietro eseguì la costruzione di una chiesa con fabbriche annesse per ciascuna delle tenute di Tragliata, Tragliatella e Boccea. Fu architetto delle monache di S. Cecilia in Trastevere. Lavorò anche fuori della Dominante: a Genzano livellò gli acquedotti e disegnò le fontane, a Valentano edificò la Porta Nuova, a Fiano restaurò la chiesa aggiungendovi la sacrestia ed il campanile; nella Campagna Marittima, tra Anagni e Sgurgola, realizzò un ponte a sei luci, a Frosinone si occupò del rialzamento e della variazione del ponte e relativa fontana, a Terracina costruì le carceri.

A Jesi, nelle Marche, elevò una gran fabbrica ad uso di conservatorio con annessa chiesa mentre in Sicilia, a Catania, fece la chiesa e la facciata del convento dei monaci benedettini.

Molta risonanza ebbe la polemica tra lui ed il professore Francesco M. Gaudio a proposito del ponte sul Velino a Rieti(24).

Il prospetto sul Corsodi Palazzo Bracci prima della ristrutturazione effettuata da Pietro Bracci
tra il 1834-1839. Dalla pubblicazione di T.Di Domenico Venuti: vedi nota 31

Fu membro dell'Accademia di S. Luca dal 1784. Nel 1796 era uno dei censori e nel 1810, sotto il principato del Canova, fu nominato professore d'architettura.

Morì nella sua abitazione di palazzo Circi, al n. 83 della scomparsa via della Pedacchia, il 12 settembre 1815 ed i suoi figli gli fecero erigere in S. Marco, sua parrocchia, una lapide ed un busto dalla scultore Tuccimei (24bis).

Dalla moglie Vincenza Massaruti aveva avuto parecchi figli ma, alla sua scomparsa, oltre a due femmine, vivevano: Enrico, militare, Paolo, computista camerale, ed infine Pietro, architetto, che quasi subito prese il suo posto nella Congregazione del Buon Governo. Anche lui fece parte dell'accademia di S. Luca unitamente alla sorella Faustina, moglie dell'avv. Armellini, pittrice, il cui ritratto si può ammirare nella galleria di quell'onorevole istituzione.

Pietro morì nel 1839 lasciando solo due dei quattro figli avuti dalla moglie Maria Giorgi: Virginio ed Andrea.

Nel 1824 il padre della signora Maria, Andrea Giorgi, l'aveva lasciata erede del famoso palazzetto di via del Corso n. 18 ma ciò non incontrò il parere favorevole dei fratelli di lei che la trascinarono in causa. Questa vertenza durò circa dieci anni ma si concluse con esito favorevole al1'interessata.

Il marito diede quindi inizio ai lavori di ristrutturazione che si protrassero, però, per parecchi anni e si conclusero poco tempo prima della dipartita del poveretto. La vedova trovò più conveniente, in quel momento, riaffittare tutti gli appartamenti ed infatti è solo nel 1870 che la troviamo trasferita lì con i due figli, ormai uomini maturi.

Il maggiore, Virginio, che esercita la professione libera di architetto vi morirà nel 1894 ancora celibe, mentre Andrea - anche lui architetto, passato dal Governo Pontifico al neonato Comune di Roma, dove sarà nominato Consigliere - lo aveva preceduto sin dal 1885. Il suo unico figlio maschio, Pietro, chiamato famigliarmente Pierino, laureato in giurisprudenza, benché nella pratica della vita esercitasse l'uf?cio di Segretario del Consorzio Pontino, si dedicò tuttavia alle lettere ed al giornalismo politico.

Si era formato nell'atmosfera della Cronaca Bizantina e dell'editoria sommarughiana(25). Fu amico di Enrico Panzacchi(26), di Fausto Salvatori(27), di Antonio Fogazzaro, di Gabriele D'Annunzio e di Isidoro del Lungo(28).

Ebbe una furiosa polemica letteraria con Giosuè Carducci, che lo disdegnava alquanto, un'attiva collaborazione giornalistica con "l'Idea Liberale" di Antonio Sormani ed un aperto e critico interesse per Augusto Ferrero(29).

Morì a soli 38 anni il 16 novembre 1902, ancora celibe, estinguendo con Lui quella dinastia di ingegni che così brillantemente aveva onorato la nostra città.

È facile immaginare quante testimonianze, quante tracce di sé possano aver lasciato queste cinque generazioni di artisti. La mole, la quantità delle carte che costituivano questo eccezionale fondo è documentata dalle descrizioni che ne hanno lasciato le due studiose che lo hanno potuto consultare personalmente.

La prima di esse, la signora Costanza Pesci Gradara (vedi noia n. 10) ci descrive minutamente le meraviglie di quella casa museo che essa ha potuto vedere con i suoi occhi.

In primis il diario originale del capostipite, lo scultore Pietro, un libriccino di diciotto pagine, dal formato di em. 19x26, un po' ingiallito, scritto di mano del Maestro; fa anche notare che la numerazione della prima pagina è 155 e si domanda cosa potesse essere scritto nelle pagine mancanti.

Parla di un manoscritto sugli ordini architettonici, di uno sulla pratica della voltimetria, di un altro sulla architettura militare italiana ed infine di un fascicolo dal titolo "Parallelo militare".

Afferma anche esservi un'opera del Belidor(30) tutta annotata dal Bracci stesso, un trattato sull'architettura civile, un manoscritto sulla gnomonica ed un altro sui geroglifici egiziani. Descrive i bozzetti ed i disegni preparatori relativi alle commissioni elencate nel diario suddetto, talvolta più di uno per la stessa opera, confrontandoli con l'originale: ad es. il deposito del Calcagnini ed il monumento a Benedetto XIV.

Asserisce essere numerose le lettere di cardinali, principi, colleghi, accademie - sia artistiche, letterarie o scientifiche -, anche da fuori Roma, inviti e verbali dell'Arcadia di cui, sappiamo faceva parte, dell'Accademia di S. Luca alla quale apparteneva, oltre a numerose minute di sue lettere.

Terminava la nostra scrittrice con l'augurio che tutta questa abbondanza di materiale venisse usata al più presto per una biografia completa di questo artista che essa riteneva trascurato dagli studiosi.

Nicchione o ninfeo con attico a balaustra (prospetto e spaccato)

La seconda fu la signora Teresa Di Domenico Venuti la quale volle offrire una piccola pubblicazione(31), quale dono di nozze, alla più piccola delle due sorelle di Pierino, ultime discendenti della famiglia, che si chiamava Maria, che giusto in quell'anno andava sposa al conte Alberto Trocchi Alessandri di Civitacastellana.

Dal tono della dedica pare di capire come la Venuti fosse quasi di casa, sia con la sposa che con Eugenia, la maggiore.

Anche in quell'opuscolo si accenna alle carte custodite nell'archivio di casa ed in particolare vengono raffigurati i disegni del palazzetto come si presentava prima dei restauri voluti dal secondo Pietro, nonno delle ragazze.

Le nostre due Signore non avrebbero mai potuto immaginare una conclusione più squallida, una fine più ingloriosa di quella capitata alla casa che esse consideravano una galleria d'arte e a tutte quelle cose uniche ed inestimabili che costituivano il corredo e la dote di quella dinastia di artisti.

Una fine che si sarebbe presentata pochi decenni dopo, quando, preceduto nel 1940 dalla moglie e nel 1941 dalla cognata, il conte Alberto Trocchi Alessandri, nell'ottobre del 1948, passava a miglior vita, lasciando la mensa Vescovile di Civitacastellana erede di tutte le sue sostanze nelle quali era confluito, a suo tempo, anche il fabbricato di via del Corso.

Questa eredità non poteva capitare in un momento meno adatto: il Vescovo titolare era deceduto circa un anno prima del Trocchi cd il suo successore venne designato solamente un anno dopo la scomparsa di quest'ultimo.

Appena insediato il povero Prelato ebbe il suo daffare per ristabilire una diocesi reduce da due anni di "sede vacante" che l'avevano trascinata in un grave dissesto, aggravato da quel particolare momento (1949) in cui si pativano ancora su quel territorio le conseguenze di una guerra disastrosa come il secondo conflitto mondiale.

Prima che qualcuno potesse occuparsi seriamente dell'eredita passò molto tempo, anzi, moltissimo, e fu un tempo alla insegna dell'incuria e dell'abbandono.

In assenza di una proprietà attiva ed operante tutto fu lasciato languire con grave danno sia per l'immobile sia, principalmente, per quella miniera di oggetti d'arte e di valori che era l'appartamento del secondo piano.

Oggi è ormai perfettamente inutile recriminare, piangere sulle spoliazioni e sui trafugamenti o raccontare dello spettacolo desolante dello studio, scoperto una mattina, dopo una nottata burrascosa, con il pavimento tutto ricoperto da un fitto strato di fogli tutti inzuppati a causa della pioggia entrata dalle finestre trovate spalancate.

Chi era stato?

Forse approfittando del tempo cattivo che copriva i loro rumori erano stati dei ladri?

E tutte quelle carte bagnate sul pavimento che fine avevano fatto?

Da quaranta anni queste domande sono senza risposta.

Non resta che chinarsi con un profondo senso di pena su quei due scatoloni formato gigante che si trovano in una stanza dell'archivio vescovile di Civitacastellana dentro i quali giacciono accumulate alla rinfusa le poche carte superstiti dello storico archivio Bracci capace di documentare due secoli di attività artistica e professionale e cinque generazioni di artisti.

Da una prima sommaria ricognizione, e seguendo le indicazioni che possono pervenire da una attenta lettura del volumetto della Gradara(32) si può arguire che del capostipite, lo scultore Pietro (1700-73) non rimangono che cinque quinterni di fogli manoscritti con tracce di rilegatura, su "La descrizione dell'ordine dorico in tre stati" e altri fogli manoscritti di "Notizie desunte dalla scienza degli ingegneri" di msr. Belidor.

Del figlio Virginio (1737-1815) c'è una copia del "Cracas" di sabato 23 settembre 1815 contenente il suo necrologico; la sola fascetta del pacco che conteneva il "Corso di lezioni di architettura dettate dall'architetto accademico Virginio Bracci in supplemento al sig. Raffaele Stern(33) nelle scuole pubbliche dell'Apollinare da maggio a settembre del l8l2"; un foglio che dovrebbe essere parte di una lettera datata 13 marzo 1792 con la quale egli da resoconto di certi spettacoli ed infine dovrebbero essere suoi, essendo noto l'interesse che egli aveva per tutte queste materie, degli appunti manoscritti tratti dall'opera "Ricerche sulla spinta delle terre - Parigi 1802, Prony (o Piony?)

Appendice alle lezioni di Sg. (illeggibile)" unitamente ad altri fogli sparsi di appunti, sempre manoscritti, riguardanti la meccanica, la fisica, la mineralogia e le acque.

Di Pietro, figlio di Virginio (1780-1839) nipote ed omonimo del primo, esiste una copia del testamento per gli atti del notaio Calvaresi (o Calvanesi) Piazza di Spagna n. 58 con l'inventario dell'eredità; vari inventari di oggetti venduti dopo la sua morte; sette elenchi di libri per un totale di quattrocento volumi circa venduti alla libreria Archini di via del Corso; due incarichi di perizia per altrettanti fabbricati uno in via dei Delfini ed un altro in via del Pellegrino, un libriccino di conti di casa dal 1823, anno del suo matrimonio, al 1839, anno della sua morte, inframmezzato anche dalle notizie più importanti accadute in quell'arco di tempo e interrotto alla data del 10 aprile 1839: otto giorni avanti la sua dipartita; quattro grossi fascicoli comprendenti i progetti, i bilanci preventivi e quelli consuntivi delle spese sostenute per il restauro dell'immobile di via del Corso iniziato nel 1834 ed infine un fascicolo contenente le carte della lite giudiziaria con i Giorgi.

La porzione di carte relativa al figlio Virginio (1825-1894) il maggiore, che esercitava la libra professione di ingegnere, e molto scarsa: solo poche lettere. È molto probabile che una parte di esse possano essersi confuse con quelle di Andrea, il minore, (182ó-l885) anche lui ingegnere oltre che uomo politico, al quale sembra appartenere una buona porzione dell'intero fondo. Vi si trovano infatti moltissime lettere, convocazioni, verbali, appunti; progetti di terzi per opere pubbliche; un fascicolo di carte relative ad una causa giudiziaria con la famiglia della moglie: i Righetti; una copia molto rovinata della "Storia dell'architettura" di Tommaso Hope (traduzione francese di A. Baron, traduzione italiana di G. Imperatore, Milano 1840 Lampato); un'altra delle "Prime nozioni di disegno geometrico e lineare" di Giuseppe Boidi (Torino 1800 Baglione); una pubblicazione di Romolo Burri relativa ad un "Ponte tubolare a fondazione con l'aria compresa per il passaggio della strada ferrata da Roma a Civitavecchia" ed infine un manoscritto intitolato "Notizie di un ponte di filo di ferro costruito nelle vicinanze di Annonay". Di particolare interesse un piccolo notes stipato di schizzi, calcoli e misurazioni per un non meglio definito "Lago di Ostia".

Per finire, numerosi pacchetti di ricevute inerenti l'amministrazione del patrimonio famigliare e relativa corrispondenza.

Uguale quantità. se non maggiore, il materiale appartenente al giovane Pierino: parecchi numeri delle riviste "Minerva"(34) e "Rassegna Nazionale"(35); la copia di una sua pubblicazione con il suo abituale pseudonimo di Guido da Fortebraccio, un'altra con il suo vero nome; pacchi di fogli sparsi con sonetti, acrostici, brani di prosa, poesie, copie manoscritte di brani letterari, lettere, biglietti e ritagli.

Parecchi sono i disegni firmati dalle due sorelle, entrambe artisticamente dotate(36). In particolare, uno di Maria, raffigurante un angolo del cortile di casa, quasi un giardino, con in primo piano degli artistici vasi di terracotta contenenti piante di limoni che potrebbero essere le discendenti di quelle che, "con tanta cura, coltivava il vecchio abate Martini"(37).

Altri ancora sono anonimi ed andrebbero esaminati dagli esperti per poter attribuire loro, se possibile, una paternità.

Buoni ultimi, ma decisamente più importanti, sono i sessanta fogli (piante di terreni, tracciati di strade, planimetrie di chiese e di case, progetti per opere di pubblica utilità od ornamentali) che rappresentano sicuramente un'infinitesima parte di quelli che avrebbero dovuto pervenirci calcolando che, a partire dal Pietro capostipite sino ad Andrea e Virginio, sono circa centocinquanta anni di attività ininterrotta.

Interessante quello su carta celestina che raffigura uno "spaccato della casa dello scultore Pierantoni" e la seguente dicitura: "eseguita da Paolo Anzani e Pietro Bracci il 4 fruttifero Anno Repubblicano 6° (1800)". A quella data Virginio Bracci era ancora vivo e sicuramente operante. Si può quindi agevolmente ritenere che l'Anzani fosse il giovine di studio c che Pietro (a quel1'epoca ventenne) lavorasse a pieno titolo nello studio del padre.

Se così fosse tutte le carte di quel colore apparterrebbero a quel periodo, e lo confermerebbe una mezza dozzina di esse debitamente siglati con la V e la B intrecciate.

Su carta bianca, invece, e completamente anonimo il progetto di uno splendido nicchione con Fronte a colonne, l'attico a balaustra e, all'interno, una fontana formata da una semplice ma elegantissima conca poggiata su di un piede riccamente lavorato. Un insieme raffinato e classico che viene presentato anche in spaccato. Si tratta forse di un'idea per il vagheggiato ninfeo di villa Lante sul Gianicolo, poi non realizzato?

Altri due elaborati suscitano molta attenzione. Raffigurano un complesso con vasca semicircolare appoggiata ad una linea retta comprendente una fontana, due abbeveratoi ed un lavatoio, uno con dettaglio di scala laterale d'accesso ed uno senza.

Fanno pensare agli elementi richiesti in uno dei tanti bandi di concorso per la lontana di Trevi, e difatti, assomigliano straordinariamente al disegno esposto nella mostra tenutasi nei locali della Calcografia Nazionale a via della Stamperia in Roma, nei mesi di giugno-luglio 1987 avente per oggetto "Ferdinando Fuga e l'architettura romana del settecento" e contrassegnato in Catalogo con il n. l 15.

Buone ultime le ventidue fotografie recuperate tra le quali due sono di Pierino Bracci, due del Casino Bracci di Calvi nell'Umbria, sei piccoli provini datati, sembra, maggio 1883 e che potrebbero raffigurare Andrea Bracci e Faustina Righetti, una di giovane donna con dedica "alle mie carissime cugine" ma a firma illeggibile, una di due giovanetti con dedica in lingua inglese e le altre di persone impossibili ad identificare.

Va da se che quanto è stato descritto sin qui rappresenta la parte più povera e più insignificante del prezioso archivio che, se fosse giunto integro sino a noi, avrebbe degnamente assolto al compito auspicatogli dalla signora Gradara non solo per quanto riguarda il primo Pietro, indubbiamente il personaggio più conosciuto di questa prosapia di artisti, ma anche per meglio studiare ed analizzare la vita e le opere di suo figlio Virginio il quale ebbe sicuramente a soffrire, ai fini di una sua più esatta valutazione, dell'interesse quasi esclusivo degli studiosi per la figura di suo Padre.

Sarebbe di grande soddisfazione essere riusciti a risvegliare un certo interesse che contribuirebbe alla realizzazione di quell'obbiettivo.

Vittorina Novara

(1) Chiari Giuseppe Bartolomeo, pittore, romano per alcuni e toscano per altri, uscito dalla scuola del Maratta. Fu tre volte Principe all'Accademia di S. Luca dal 1722 al 1725. È, sepolto a Roma nella chiesa di S. Susanna.

(2) Camillo Rusconi, lombardo, considerato un caposcuola della scultura del settecento (1658-1728).

(3) Accademia romana letteraria derivata dalle riunioni che Maria Cristina ex regina di Svezia (1626-1689) soleva tenere nel suo salotto accogliendovi poeti, scienziati e letterati che dopo la morte di lei decisero di continuare a riunirsi e di fondare un'accademia. Il 15 dicembre 1690 si tenne la prima adunanza nel giardino dei frati minori riformati a s. Pietro in Montorio. Tra i fondatori: G.M. Crescimbeni da Macerata, Vincenzo Leonio da Spoleto, Silvio Stampiglia da Civita Lavinia, Giovan Battista Felice Zappi da Imola e Giovanni Vincenzo Gravina da Roggiano che provvide a stendere i relativi regolamenti in lingua latina. Le riunioni si tenevano a cielo aperto. Nel 1725 dopo aver migrato per decenni da una villa romana dall'altra, grazie alla munificenza di Giovanni V re del Portogallo poté stabilire sul Gianicolo il suo "Bosco Parnasio" ed il suo "Serbatoio" cioè l'archivio e la sala per le riunioni amministrative. Alla fine del secolo, però, l'attività dell'Arcadia già languiva. Dopo un lungo periodo di stasi si trasformò in un'accademia puramente romana che si trascinò stentatamente sino al 1925 quando fu trasformata in Accademia Letteraria Italiana.

(4) Il cardinale Antonio Pignatelli di Napoli (1691-1700).

(5) Fabrizio Paolucci de' Calboli, forlivese (1651-1726). Lasciò il titolo di "Macerata e Tolentino" perché nominato Nunzio straordinario presso il Re di Polonia, Segretario di Stato di Clemente XI (G.F. Albani 1700-1721) e di Innocenzo XIII (M. Conti 1721-24).

(6) Il cardinale Prospero Lambertini di Bologna (1740-58).

(7) Giuseppe Renato Imperiali di Genova (1651-1737) Prefetto della Congregazione del Buon Governo e della Congregazione della Disciplina Regolare. tit. card. S. Lorenzo in Lucina

(8) Carlo Leopoldo Calcagnini di Ravenna (1679-1746). Figlio del Governatore della Romagna, decano della Sacra Rota, Consultore del S. Uffizio, giurista, letterato ed Arcade, titolo cardinalizio: S. Maria in Ara Coeli.

(9) Il cardinale Lorenzo Corsini di Firenze (1730-1740).

(10) In passato questa statua era stata attribuita allo scultore Bartolomeo Cavaceppi ma Costanza Pesci Gradara nella sua pubblicazione "Pietro Bracci scultore 1700-1773" edita da Alfieri e Lacroix nel 1920 a Milano ne documenta la paternità del B.

(11) Il cardinale Pier Francesco Orsini di Roma del1'Ordine Domenicano (1724-1730).

(12) Clementina Sobiesca nipote di Giovanni Sobieski re di Polonia, moglie di Giacomo III Stuart pretendente al trono di Inghilterra contro Giorgio III Hannover, madre di Carlo Edoardo ultimo di quella casata, deceduta in Roma a soli 33 anni per etisia il 18 febbraio 1735.

(13) Giorgio Spinola di Genova (1667-1739) Vice delegato di Ferrara, Precettore del1'Ospedale di Santo Spirito in Sassia. Titolo cardinalizio di Palestrina.

(14) Innigo Caracciolo nativo della diocesi Tarantina, dell'Ordine Benedettino, abate dell'Abbazia Nullius di S. Vincenzo al Volturno. titolo cardinalizio: S. Tommaso in Parione.

(15) Giovanni Giacomo Millo di Casale Monferrato (1693-1757) già Vicario di Bologna, uditore e datario di Benedetto XIV Titolo cardinalizio: S. Crisogono in Trastevere.

(16) Questo Re, nel 1717 per un voto a S. Antonio fece costruire il complesso di Mafra, a circa dieci miglia da Cintra, che ricorda in qualche modo l'Escurial di Filippo II; è un grande quadrilatero con due ali terminate da padiglioni, nel centro la chiesa fiancheggiata da due torri tra le quali la cupola. Il tempio è preceduto da un vestibolo decorato da 14 statue tutte di scultori italiani: qui sono sistemate le due opere del B. (v. Costanza Pesci Gradara "Due opere dello scultore P. Bracci in Portogallo" Roma Istituto Studi Romani 1926).

(17) Giovanni Battista Morgagni di Forlì, medico, è il fondatore dell'"Anatomia Patologica" di cui fu docente alla Università di Padova (1682-1771).

(18) Luigi Vanvitelli nato a Napoli (1700-1773) figlio del famoso pittore olandese Gaspar van Wittel. Fu celebre architetto, scolaro di Filippo Juvarra. Il suo stile segna il passaggio dal barocco al neoclassico. Il suo capolavoro è la Reggia di Caserta.

(19) Carlo Murena di Rieti (1713(14)-1764) allievo del Salvi e del Vanvitelli. Architetto della S. Fabbrica di S. Pietro. Accademico di merito all'ACC. di S. Luca (1759).

(20) Frate della Provincia Francese dell'Ordine dei Minimi, vissuto a Roma nel convento della Trinità dei Monti, parlava correntemente in francese, latino, greco, ebraico e italiano. Nel 1735 ebbe la cattedra di Sacra Scrittura nel Collegio di Propaganda Fide. Nel 1745 Vittorio Amedeo di Savoia gli conferì la cattedra di fisica nell'università di Torino che non poté assumere perché nel 1746 Benedetto XIV gli affidò la cattedra di fisica sperimentale alla Sapienza. Nel 1773 a seguito della soppressione dei Gesuiti accettò la cattedra di matematica al Collegio Romano (1711-1788) Opere principali: "Isaaci Newtoni Philosophiae naturalis principia mathematica perpetuis commentariis", "Elementi di prospettiva secondo i principi di Broock Taylor con varie aggiunte spettanti all'ottica c geometria", "Dissertazione sul lago Trasimeno", "Del calcolo integrale", ecc.

(21) Pietro Gioeni di Palermo, Vescovo ausiliario di Agrigento, Assistente al Solio (1698-1761).

(22) Federico Marcello Lante della Rovere di Roma (1695-1773) Titolo Cardinalizio: Porto e S. Rufina, Commendatario della Abbazia Imperiale di Farfa.

(23) Già vicolo poi via, scomparso. Era tra via Montanara e via Monte Caprino dove oggi è l'esedra arborea alla destra del monumento a Vittorio Emanuele II all'imbocco della ex via del Mare oggi Petroselli. Vi dava acceso un arco detto dei Saponari per l'Università di questi fabbricanti ai quali era stata ceduta la chiesetta di S. Maria in Vincis che sorgeva in fondo alla stradina.

(24) Nel 1772 il Bracci, invitato dalle Autorità ad effettuare un sopralluogo, aveva pubblicato le sue conclusioni sotto il titolo "Riflessioni idrostatiche sul ponte di Rieti". Contro le sue tesi il Gaudio, delle Scuole Pie, professore di matematiche dell'Università romana pubblicò le sue repliche nelle "Effemeridi letterarie di Roma". Nella disputa intervennero anche due specialisti di idraulica, i sigg. Corelli e Bonati di Ferrara. La questione sì trascinò per quindi anni. Vi mise fine Pio VI con motu proprio del 7 luglio 1787.

(24bis) Raffaele Tuccimei Artista romano poco conosciuto operante nella prima metà del 1800. Il busto del Bracci è citato nel Dizionario degli Scultori ed Architetti Italiani della Bessone Aurelij, mentre il Benezit riporta il busto di Augusto Kestner, datandolo 1844, nell'omonimo museo di Hannover. Il Thieme Becker cita due premi vinti dal T.Uno alla Congregazione dei Virtuosi, l'a1tro nel 1843 all'Accademia di S. Luca nella 2° classe di scultura.

(25) Angelo Sommaruga di Milano (1857-1941) Editore, fondò il giornale "Cronaca Bizantina" (1881-1885) alla quale collaborarono tutti i maggiori letterati del tempo.

(26) Enrico Panzacchi di Bologna (1841-1904) Letterato, poeta, scrittore, giornalista. Diresse "Cronaca Bizantina" ed il primo "Capitan Fracassa".

(27) Fausto Salvatori di Roma (187O- 1929) Scrittore, poeta, novelliere, critico.

(28) Isidoro Del Lungo di Montevarchi (1841-1927) Letterato, critico, dantista. Arciconsolo della "Accademia della Crusca". Senatore del Regno.

(29) Augusto Ferrero di Bologna (1867-1924) Avvocato, poeta, letterato. Redattore capo della "Tribuna".

(30) Bernard Forest de Belidor (1693-1741) Ingegnere e teorico francese. Autore di "Science de l'ingegneur" Paris 1739 in cui tratta i problemi tecnici della costruzione (volte, materiali ecc.) ed alcune tipologic edilizie, fra cui, importante, lo studio sulle caserme.

(31) Teresa Di Domenico Venuti, "La casa di Goethe" Roma Poliglotta Vaticana di Prop. Fide 1908. Una piccola curiosità: il consorte di questa studiosa era discendente del celebre Ridolfino Venuti di Cortona (l705-1763) fondatore dell'Accademia Etrusca Cortonese, numismatico e gemmologo, autore della "Descrizione topografica delle antichità di Roma".

(32) Vedi nota n. 10.

(33) Raffaele Stern, architetto, ingegnere e restauratore (1774-1820). La sua opera più importante è la costruzione del Braccio Nuovo del Museo Chiaramonti. Fu anche Vice Presidente della Accademia di S.Luca.

(34) Rivista settimanale edita a Roma (1891-) da Federico Garlanda che la fondò e diresse (1857-1913).

(35) Rivista mensile edita a Firenze (1879-1943-1950-52).

(36) Eugenia fece dono all'Accademia di S. Luca della copia del ritratto del bisavolo Virginio da lei stessa eseguita dall'originale del pittore Maron, datato 1808, esistente in sua casa.

(37) Teresa D.D. Venturi, op. cit., pag. 10.