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Giovanni Battista Belpassi cittadino di Fermo

La sera di martedì 22 novembre 1867 una pioggia fitta e sottile imperversava su Roma. Pioveva da due giorni. La domenica precedente un forte temporale si era abbattuto sulla città con inaudita violenza per circa tre ore; si era poi mutato in un'acqua insistente e penetrante che da due giorni inzuppava ogni cosa, allagando e fracidando dappertutto.

Sulla via Ostiense, in direzione di Roma,una carrozza avanzava velocissima. Il povero cavallo, fumando ed ansimando sotto le frustate del vetturino, galoppava a perdifiato.

Il cocchiere, impaludato nel suo mantellone incerato, gli si rivolgeva imprecando e bestiemmiando tra uno schiocco e l'altro della frusta.

Ma il legno non era deserto: una persona tutta rannicchiata dietro la cassetta, avviluppata in un lacero telone, formava un informe fagotto da cui spuntava una mano che, con la forza della disperazione, teneva puntata, contro la schiena del postiglione, la canna di una pistola.

"- Più presto, più presto!!.. - tuonò con voce stentorea - Se non ti sbrighi non ce la facciamo!!!..-"

Alle loro spalle, all'incirca un miglio, un miglio e mezzo addietro, si distinguevano lampi di fucilate e si udivano rimbombi di spari: era lo scontro a fuoco tra il gruppo dei patrioti romani, guidati dai garibaldini Cucchi e Guerzoni, assediati nella vigna Matteini sull'Ostiense dallo squadrone di gendarmi pontifici comandati dal colonnello Zappi.

"- Ho detto più presto, perdiana! Dobbiamo arrivare alla porta prima che sia terminate il combattimento...

Presto!!!....-"

In serpa rispose un brontolio indistinto.

La povera bestia, sotto una gragnuola di colpi, cercò dl accelerare, per quanto ancora gli fosse possibile, tra lo sbuffare delle froge ed i tonfi sordi dei suoi zoccoli nella terra melmosa che sollevavano nugoli di spruzzi.

Come Dio volle, dall'oscurità emerse indistinta, appena grigia sul nero della notte, la mole della Piramide di Cestio e le due torri cilindriche della Porta di San Paolo, mete di quell'avventuroso viaggio.

L'arco non era murato, come aveva ordinato il capo della polizia pontificia mons.Randi riferendosi alle più importanti aperture nella cinta delle mura Aureliane: alle prime luci dell'alba un gruppo di rivoltosi romani (sopraffatto il piccolo nucleo di guardie e doganieri) armato di vanghe e picconi aveva abbattuto la tamponatura in mattoni, liberato l'apertura dai detriti, e, scardinando le due massicce ante di legno l'aveva resa transitabile al drappello di insorti che si era recato a prelevare le armi nella vigna sulla Qstiense.

Non potendo fermarsi di colpo il cavallo cominciò a rallentare ma quando il vetturino poté volgersi in dietro il suo passeggero non c'era più: con un balzo acrobatico si era lanciato tra la fitta vegetazione che,oltre ad attutirgli l'impatto della caduta,lo aiutò a sparire completamente alla vista di chiunque.

Chi era quest'uomo audace e fortunato, scampato alla cattura ed alla prigionia per poter andare ancora a combattere per Roma con Garibaldi sui campi di Mentana? _

Si chiamava Giovanni Battista Belpassi ed era nato a Fermo il giorno 8 ottobre del 1856. Sul registro dei battesimi della parrocchia di 5.Franceeco viene indicato come: "Joannes Baptista Brunone Belpassi ex dominus Ludovicus et ex domina Enrica Merli", dizione questa riservata a quei tempi alle persone di un certo lignaggio.

Con precisione possiamo solo dire che egli rimase orfano in tenera età di entrambi i genitori, poiché le ritroviamo ammesso all'Ospizio Apostolico per i poveri orfani di S.Michele a Ripa Grande in Roma, già nel l'anno 1845.

A quell'epoca, forse, gli era rimasta solo l'ava materna, una Barontini nobile di Osimo.

Al S.Michele egli rimase fino alla fine del 1857 frequentandovi la scuola di arte bianca (così veniva chiamata la scultura) nella quale era particolarmente dotato e che sarebbe stata poi la sua professione nella vita civile.

Ebbe a compagni ragazzi che sarebbero, poi, divenuti uomini celebri: Antonio Cotogni, il grande baritono, che gli avrebbe tenuto a battesimo il primo figliolo; Filippo Spatafora, il futuro capo del Comitato Rivoluzionario mazziniano Romano; Pietro Pikler, rinomato incisore di pietre e cammei; Ercole Rosa anche lui scultore; e molti altri.

Appena uscito dal collegio si sistemò in una cameretta in via Sistina, in casa del padrone di una bottega dove aveva trovato subito da lavorare.

Giuditta, la bionda e bella figlia di questo suo principale fece subito breccia nel suo cuore, ma lo amore per la Patria ed il richiamo di Garibaldi furono più forti di questo suo sentimento: lasciatole in pegno il suo libro di preghiere del S.Michele se ne andò volontario nel 1359 arruolandosi nei Cacciatori delle Alpi ove ebbe a compagni il Guerzoni, lo Adamoli, il Cadolini, il Gucchi ecc.ecc.

Con 1'armistizio ritornò a Roma ma ne ripartì poco dopo per seguire il suo Generale ovunque ci fosse da combattere per la libertà del proprio e dello altrui paese.

Fu persino in Grecia, nel corpo dei volontari garibaldini per l'indipendenza di quel paese dal quale tornò giusto in tempo per partecipare allo sfortunato tentativo insurrezionale di Roma, nato sotto cattiva stella e morto tragicamente con la disfatta di Mentana.

Ricercato dalla polizia pontificia, coinvolse suo malgrado persino la famiglia della sua fidanzata; fu giuocoforza per tutti riparare in una piccola vigna di proprietà della futura suocera fuori della città in località Tor Pignattara.

Con l'avvento di Roma capitale del Regno Sabaudo, tutto poté sistemarsi. Sposò la sua cara Giuditta, e, per breve tempo fece parte del corpo della Guardia Nazionale.

In appresso si dedicò completamente alla scultura, fu professionista capace e stimato e dalla sua arte ricevette sempre considerazione, consensi e lodi.

Ma l'ambizione era talmente lontana da lui che non tese mai ad una carriera di successo. Egli che aveva vissuto gli anni della sua infanzia e della sua giovinezza nella sconsolata atmosfera dell'orfanotrofio, desiderava sopra ogni cosa l'amore della sua fedele Giuditta e dei suoi adorati figliuoli, il calore di quella famiglia che in gioventù tanto gli era mancata.

Vittorina Novara