Nell'anno 1558 scoppiò in Spagna il caso dello Arcivescovo di Toledo, Bartolomè Carranza, autore di un catechismo non perfettamente in linea con la ortodossia del tempo.

Tra Filippo II° e Pio IV° (Medici) fu subito controversia, né si poté trovare subito una soluzione al caso poiché, Filippo, investito come si sentiva del titolo di Re Cristianissimo, si sentiva autorizzato a procedergli contro, mentre il Papa sosteneva che - in materia di fede - toccava solo a Lui prendere una decisione.

La vertenza si sarebbe conclusa solo sotto il successore di Papa medici, cioè sotto Pio V° Ghisleri, con l'arrivo del Carranza a Roma nel 1566 per poter finalmente essere sottoposto a processo.

Per intanto, nel 1565, su richiesta formale di Filippo tramite il suo inviato personale don Rodrigo de Castro, il Papa accondiscese ad inviare in Spagna il cardinale Boncompagni in qualità di giudice della causa accompagnato dal nunzio Castagna e dall'uditore Facchinetti (secondo il Pastor) o l'Aldobrandini (secondo il Bendiscioli).

In qualità di teologo accompagnava i tre un frate minore conventuale: Felice Peretti da Montalto vescovo di S.Agata dei Goti.

La morte di Pio IV° nel dicembre dello stesso anno tolse ogni significato a quella concessione, ma quella legazione doveva comunque rappresentare nella storia del Papato quello che oggi si usa definire un primato.

Infatti tutti e quattro i suoi componenti sarebbero saliti Sul Trono di Pietro a cominciare dal suo capo il dotto cardinale Ugo Boncompagni che il 15 maggio 4572 sarebbe divenuto Gregorio XIII°.

Il Castagna (Urbano VII° nel 1590), il Facchinetti (Innocenzo IX° nel l591) e l'Aldobrandini (Clemente VIII° nel 1592) sarebbero invece succeduti nello ordine a quell'oscuro frate dal procedere brusco e vivace (a dir poco!) che sotto il nome di Sisto V° avrebbe sopravanzato a dismisura in valore e celebrità i suoi pur famosi compagni di viaggio e questo benché il suo pontificato avesse avuto una vita piuttosto breve: soltanto cinque anni.

Il compassato e dotto cardinale Boncompagni, poco sopportando le asprezze e le ruvidità di quel teologo accompagnatore, se ne uscì un giorno - piuttosto seccato - ad esclamare qualcosa contro i frati-vescovi che non dovrebbero razzolare altro che nei loro chiostri.

Questa frase, chiaramente rivelatrice della poca simpatia nutrita nei suoi confronti, Felice Peretti se la tenne bene in mente per tutti gli anni che precedettero la sua salita al Soglio. Il suo carattere impetuoso ed impulsivo non gli impediva di coltivare la cristiana virtù della prudenza, né quella più francescana della pazienza, che non dismise neppure in occasione del barbaro assassinio del prediletto nipote Francesco marito di quella .... farfallina della Vittoria Accoramboni.

Parlare di Lui, Papa, è cosa difficilissima e onerosa data l'enorme letteratura pubblicata sul suo conto. Non v'è cosa da Lui progettata, direttiva impartita, disposizione imposta, che non sia stata scrutata ed analizzata sotto tutti i suoi aspetti, poiché una personalità così forte e così vivace non ha mancato di produrre schiere di estimatori ed altrettante di denigratori.

Forse la parte meno conosciuta (ma dico forse) è proprio quella vissuta nell'ambito del suo Ordine Religioso del quale, tra l'altro, divenne prima Procuratore Generale e poi Vicario Generale.

La sua nomina alla Cattedra di Fermo ricevuta insieme al cappello cardinalizio, non sappiamo se per espresso suo desiderio o per sola felice intuizione di Pio V°, veniva a coronare la sua missione di sacerdote proprio nello stesso posto da cui questa missione aveva preso le mosse.

Egli vi era giunto, difatti, la prima volta nel 1534, subito dopo la cerimonia della sua vestizione che, per le sue condizioni di estrema indigenza, poté, aver luogo per la carità del gentiluomo Rosato Rosati di Montalto, che gli fece dono dell'abito.

Per amore del Padre non cambiò - come di regola - il suo nome di battesimo e si fece chiamare, benché nato a Grottammare, fra Felice da Montalto perché in quel convento fu accolto dallo zio Fra Salvatore che aveva intuito le doti del nipote.

A Fermo si trattenne fino al 1559. Dal 1540 al 1545 girò tra i conventi di Bologna, Rimini e Siena.

Nel 1546 vi fece ritorno e vi conseguì, il 26 luglio 1548, il dottorato in teologia.

Per lunghi anni ancora stette lontano occupato nelle missioni alle quali era stato prescelto: Venezia, Genova, Naponli, Roma nella quale predicò il quaresimale nel 1552 e dove seguì gli studi all'Università Gregoriana posta proprio alle spalle del convento S.S.XI1 Apostoli dove alloggiava.

In seguito, con il pontificato Carafa (Paolo IV°) vennero i primi anni di ritiro sull'Esquilino nella diletta "vigna".

Finalmente, con l'avvento di Papa Ghisleri, suo amico di vecchia data, arrivò il riconoscimento delle qualità e capacità e la destinazione là, a Fermo, dove aveva mosso i primi passi nel corpo mistico della Chiesa.

Il cardinale Peretti si occupò paternamente e saggiamente della sua diocesi ma .... nel 1572 divenne papa quel tale che aveva poca simpatia per i frati-vescovi per cui fu necessario prendere la dolorosa decisione di rinunciare a Fermo e - con il pretesto degli studi - ritirarsi ancora una volta sull'Esquilino.

Molti sostengono che la straordinaria attività dei suoi cinque anni di papato sono la diretta conseguenza di tutti quegli anni trascorsi in appartato silenzio nello studio, nei progetti e nella lucida organizzazione di quella certezza che egli probabilmente avvertiva dentro di sé.

E questa potrebbe essere la spiegazione logica dell'opera di un grande, che, altrimenti, sfuggirebbe ad ogni logica spiegazione.

Vittorina Novara