Quando nel 1585 con Bolla di Sisto V° i Padri minimi di S.Francesco di Paola presero possesso della Chiesa di S.Andrea delle Fratte, l'edificio non era assolutamente in condizioni di soddisfare le esigenze di una Parrocchia: era piccolo, povero ed alquanto fatiscente.

Prima cura dei bravi Padri fu quindi quella di por mano alla costruzione di una chiesa più grande e più idonea alle sue funzioni, ma la "Povertà" che la Regola del santo Padre Fondatore indicava come una delle virtù principali dell'allora ancor giovane Ordine, fu naturalmente ostacolo alla realizzazione delle opere necessarie.

Ostacolo non insormontabile, giacché i nostri Padri minimi, umilmente e fiduciosamente si rivolse ro alla "Munificentia" della ricca nobiltà romana e, in particolare, alle più importanti famiglie della zona urbana sottostante alla Parrocchia.

Così, alternando periodi di sospensione dei lavori "per mancanza di fondi" a periodi di "grande alacrità di opere", fra una "munificentia" e l'altra la nostra bella chiesa prendeva forma; un poco alla volta, un secolo dopo l'altro poteva raggiungere la sua completezza fino a che, nel 1826, grazie alla facciata ottenuta dalla "munificentia" del Cardinale Consalvi le sue strutture architettoniche assunsero l'aspetto che ancora oggi noi ammiriamo.

Ma non sempre la"munificentia"che si legge sulle lapidi, sui cartigli, sulle iscrizioni adornate di stemmi, di corone, di simboli araldici, sui ricchi pavimenti, sui soffitti dorati è nata dalla intenzione di onorare il Signore: essa ò troppo suscettibile di svariate considerazioni. La vera filantropia il vero mecenatismo non desiderano ostentazioni, testimonianze; al contrario cercano di nascondersi dietro l'operato di coloro che il loro zelo ha posto in evidenza togliendo a sé ogni merito ed attribuendolo agli altri.

Così operò più di due secoli fa, proprio in S.Andrea delle Fratte, un umile Frate non professo dell'Ordine Paolano, che ivi svolse per quasi cinquanta anni le sue funzioni di sacrestano, e che grande cura pose nel non lasciar traccia alcuna di tutte le grandi cose che fece.

Prova ne sia che sono parecchie le generazioni alle quali questo nome restò completamente sconosciuto, sebbene la sua tomba, sul pavimento innanzi l'altare di S.Anna, facesse menzione di Lui e dei suoi grandi meriti in questi termini:

D.O.M.
HIC IACET
F.JULIUS CASALI MEDIOLANENSIS
QUI IN HOC COENOBIO ANNOS VIXIT
XXXXVIII
CHARITATE AUSTERITATE PATIENTIA
COMMENDATUS
CULTUI DIVINO APPRIME ADDICTUS
ALTARE D.P.N. FRANCISCI DE PAULA
MARMORE AERE AURO EXCULTUM FIERI CURAVIT
HOC DIVAE ANNAE AD MEDIUM USQ.
PERDUXIT
ARGENTEI VASIS SACRE VESTIBUS
ECCLESIAM ORNAVIT
ROMANORUM LIBERALITATE
PAUPERRIMUS IPSE OBIIT XV KAL. FEB.
ANNO AERE VULGARIS MDCCLI
AETATIS SUAE LXXVII
MA.IV

Noi poveri contemporanei non abbiamo più nemmeno questa testimonianza poiché è andata imperdonabilmente ed inconcepibilmente distrutta durante il rifacimento della pavimentazione della Cappella!

Nella sua grande umiltà e modestia, il Nostro è probabilmente contento di questo silenzio intorno alla sua persona ma è doveroso per noi toglierlo da quell'oblio e raccontare quello che seppe fare,durante il tempo che stette qui, ad onore e gloria del Signore, di S.Francesco e dell'Ordine tutto.

Come abbiamo letto egli era "mediolanensis" cioè proveniva dalla Provincia monastica di Milano, era quindi un "polentone"come vengono chiamati qui a Roma tutti coloro che provengono dall'alta Italia.

Ma polentone non fu davvero se fu capace, da solo, di assicurarsi l'interessamento e la collaborazione di valenti artisti, molte "munificentie" ed illustri Patronati.

La sua venuta in questo Convento, secondo i calcoli, dovrebbe cadere nel 1703, ma la prima notizia di una certa importanza che lo riguardi si trova nello archivio dell'Ordine, all'anno 1723, e si riferisce alla sua iniziativa di far costruire, ricavandola nel vano che unisce la Chiesa alla sacrestia, una cappella interna per i sacerdoti convalescenti o per qualche celebrante di particolare distinzione.

Questo fu il primo passo.

Successivamente fra Giulio, che essendo deceduto nel 1751 all'età di 77 anni ne contava allora 49, volse le sue cure all'altare di S.Francesco a quell'epoca troppo modesto relativamente alla grandezza del santo cui era dedicato.

Dice il D'Onofrio nella sua Pubblicazione relativa alla nostra Parrocchia che il buon Frate riuscì ad ottenere i disegni ed il modello del nuovo altare dall'insigne architetto Filippo Barigioni il quale "per pura carità assistette con tutto l'affetto finché si terminò l'opera".

I lavori durarono 10 anni durante i quali il nostro riuscì a farsi aiutare dalla "munificentia" di molti borghesi benestanti, di alcuni Principi romani e persino di un sacerdote siciliano.

Il Cardinale Cybo "munificentissimus" anche lui, accettò di consacrare solennemente l'altare come risulta dalla lapide murata sull'architrave dello attiguo passaggio laterale.

L'opera, che è considerata il capolavoro del Barigioni, venne ammirata moltissimo: persino il Papa, Benedetto XIV, volle passare a vederla.

Non contento ancora, il Pio fraticello, si mise subito all'opera per abbellire la Cappella incontro a quella del Santo Fondatore: la Cappella di S.Anna.

Per questa impresa riuscì ad accattivarsi l'attenzione del grande Luigi Vanvitelli, l'autore della Reggia di Caserta, figlio di quel pittore fiammingo Gaspar Van wittel che in seguito si naturalizzò romano.

Furono preparati dei bellissimi progetti ma, sfortunatamente, la morte di fra Giulio Casali interruppe la fruttuosa collaborazione, sorsero inevitabilmente delle complicazioni e S.Anna dovette attendere oltre cento anni prima di vedersi terminato l'altare.

Ma non furono solamente questi i meriti del nostro Religioso.

Nel 1759 si improvvisò editore: diede alle stampe un libriccino di divozioni, che molto probabilmente non fu il solo. Esso comprendeva la Pia Pratica dei 13 Venerdì a S.Francesco ed altre pratiche di pietà.

Fu dedicato alla "Ecc.ma Sig.ra Donna Giulia Augusta Albani Chigi Principessa di Campagnano", che molto probabilmente ne fu la "munifica" sovvenzionatrice.

Da tutto quanto si è detto appare evidente che Fra Giulio fu un individuo eccezionale: la sua attività frenetica, la sua forza di persuasione e la capacità di tirarsi dietro le persone fino alla realizzazione dei suoi progetti, ha dello sbalorditivo. Possedeva sicuramente una competenza, magari solo istintiva che lo guidava egregiamente nelle sue scelte.

I1 suo epitaffio lo dice dotato di "charitate, austeritste e patientia" doti, queste, che lo qualificano ottimamente nella sua natura di frate, e dichiara che "pauperrimus ipse obiit" malgrado le grandi somme che, sicuramente, passarono tra le sue mani.

Malgrado tutti i suoi interessi fu sempre e prima di tutto un frate obbedientissimo alla Regola che, oltretutto, a quei tempi era avarissima di qualsivoglia dispensa.

La sua umiltà dovette essere grandissima perché è inspiegabile che un individuo così dotato non fosse sacerdote: arrivo a pensare che fosse laico per sua scelta, per espressa volontà di mortificazione.

E qui mi viene spontanea una considerazione che a taluni potrà sembrare audace ma che in effetti a me, tale non sembra.

Tutti sappiamo che il Fondatore dei minimi non fu mai ordinato sacerdote. Quando Papa Sisto IV - dispensandolo dalle formalità usuali - gliene propose la facoltà, rifiutò, definendosi indegno ed immeritevole di tanta grazia.

Non ci appaia, quindi, troppo strano che un umile frate, parimenti non consacrato - anche lui forse per molta umiltà -, abbia provveduto alla sistemazione del suo altare.

Pensate poi al fatto che il Barigioni benché celebre e, come si dice, sulla cresta dell'onda, abbia agito in tutta la questione "per pura carità ecc.ecc:"; sembra quasi che S.Francesco, il quale per la vita visse di carità abbia voluto seguire la sua regola anche dopo morte.

Infatti, come dice il manoscritto dell'Archivio dei PP. Minimi, tutto il lavoro fu eseguito e compiuto "senza aver dato al convento l'aggravio di un bajocco".

Era quindi doveroso ricordare questa figura veramente grande nell'affresco dei meritevoli appartenenti all'"Ordo Minimorum", questo vero mecenate che seppe intendere profondamente, lui poverissimo, il vero significato della "munificentia" e "munificentissimus" fu nel vero senso della parola per aver dato tutto il suo amore, , tutto il suo attaccamento, tutte le sue capacità ed i suoi interessi all'Ordine, ai Confratelli, alla chiesa di S.Andrea ed anche al suo prossimo mettendolo in condizione di fare del bene nel nome di Francesco ed a gloria del Signore.

Tutto questo senza cartigli, senza lapidi, senza iscrizioni, senza monumenti. Persino senza quella tomba che i suoi Superiori concessero ai suoi meriti (secondo di tutto l'Ordine ad essere seppellito in chiesa) e della quale, attua1mente, con somma ingratitudine ed irriconoscenza è state distrutta sino l'ultimo vestigio.

Vittorina Novara Matteini