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Nel 1982, quando pubblicai su queste pagine le vicende di Vigna Matteini e dell'omonima famiglia coinvolta, suo malgrado, nel turbolento episodio della mancata insurrezione del 1867, mi feci obbligo di convalidare con documenti originali le affermazioni che andavo esponendo (1).

Mi procurai cosi i rogiti notarili che dimostravano, in modo inequivocabile, la proprietà del terreno in questione da parte di Michele Matteini, i suoi rapporti di parentela con quel tale Romeo, - indicato nei processi della Sacra Consulta come il "solo reo" della famiglia, - le carte topografiche ed i documenti catastali che illustravano quella porzione di "suburbio romano"sia all'epoca dei fatti sia nei tempi più recenti.

Mi feci anche un dovere, naturalmente, di effettuare un accurato sopralluogo in zona per controllare e verificare la rispondenza attuale sia delle antiche carte che degli antichi toponimi.

La piazza del Ponticello fu il mio caposaldo di partenza, e dipanando di lì i miei itinerari, potei così ricostruire, nel moderno quartiere, l'ubicazione delle località rappresentate dalle antiche mappe e, a distanza di cento e quindici anni, fu un bel risultato.

In uno di questi miei giri grande fu la mia sorpresa nell'imbattermi in una graziosa casetta alla quale si accedeva da una sottostante rustica scalinata: un autentico casale che, lì per lì mi dette l'errata impressione di trovarmi di fronte allo scomparso edificio di cui stavo trattando; ma, una ancor bianca e nitida scritta sul suo fianco destro " Trattoria Volpi"mi tolse ben presto dal dubbio.

Gli girai intorno e mi imbattei in un vecchio signore seduto su di una panca al sole ed a lui mi rivolsi per cercare di sapere qualche cosa su quell'edificio che - malgrado non appartenesse alla questione che stavo trattando - pure mi incuriosiva notevolmente.

Con la loquacità caratteristica delle persone semplici ed avanti con l'età non si fece pregare a parlarmi degli oltre quaranta anni trascorsi tra quelle mura, affittategli dal Comune, che avevano visto formarsi ed - ahimè! - disperdersi la sua numerosa famiglia, dello splendido panorama che si godeva di li prima della fitta urbanizzazione della zona, degli antichi proprietari delle zone limitrofe, eccetera eccetera.

Tutto quello che egli mi raccontava confortava le mie conoscenze in proposito ma ad un certo punto se ne uscì con una categorica affermazione che mi lascio sbalordita e perplessa: "Questo casale nun lo ponno demoli' perché qui ci' à dormito Garibaldi!".

Nascosi accuratamente l'ilarità che mi saliva dentro a simile affermazione e non mi parve neppure il caso di togliergli quella certezza che - si vedeva - lo compiaceva molto: sapere di abitare in una casa dove aveva dormito l'Eroe dei due mondi era cosa veramente notevole!

Mi feci vedere meravigliata e compiaciuta oltre che d'accordo sull'intangibilità del piccolo manufatto, e lo salutai ringraziandolo per le eccezionali notizie che aveva portato a mia conoscenza e me ne andai.

Non me la sentii di deluderlo raccontandogli che Garibaldi in quella zona non solo non c'era mai arrivato e

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Il lato "Sud" del vecchio casale della "Trattoria Volpi"

con la scritta che si intravvede sotto l'intonaco.

- figuriamoci - se aveva poi potuto addirittura dormirci, né, del resto, sarei riuscita assolutamente a convincervelo.

Riguardo poi alla diceria in sé, sicuramente essa era nata dall'episodio garibaldino svoltosi nella limitrofa vigna Matteini, e poiché il casale autentico dello scontro era andato distrutto la voce popolare era sopravvissuta andandosi a trapiantare nei locali della trattoria arricchendosi anche del particolare della dormita.

Cercai di non dar peso all'amarezza che in simili casi non manca di farsi sentire, giustificando il fatto che, nella zona, era accaduto qualcosa che meritava di sopravvivere a lungo, anche se la Versione tramandata si discostava alquanto da quella originale; comunque, l'accaduto finì, poi, per essere accantonato nella mia mente, per ritornare - però - d'improvviso alla memoria un certo giorno di questa primavera (1985).

Mi era capitata tra le mani una piccola pubblicazione edita dal Comune di Roma, a cura di non so bene quale Comitato, ove si parlava di " Casali di Roma da salvare " e tra questi si citava anche il Vecchio casaletto della ex Trattoria Volpi assurdamente appellato " Casale Garibaldi" il quale, liberato degli antichi inquilini (e il mio simpatico vecchietto?) era destinato a divenire il centro degli anziani di quartiere a cura della Circoscrizione. Una foto lo mostrava appollaiato su uno sperone tufaceo incombente ed ingombrante sulla larga carreggiata di viale Leonardo da Vinci.

Il fatto che nella creazione di quella bella ed ampia Strada fosse stato conservato quell'intralcio e che, questo, nella pubblicazione venisse ufficialmente denominato con il nome di Garibaldi fu per me - questa volta - motivo di grande preoccupazione. Come poteva il Comune avallare una così errata diceria, prendere un cosi macroscopico abbaglio?

Dato che le carte catastali sono per le proprietà immobiliari quello che i certificati anagrafici sono per le singole persone, cominciamo con l'analizzare la più antica fra esse, anzi la prima in senso assoluto: la Mappa n. 1 del Suburbio

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Istituto geografico militare Firenze, 1924, carta del suburbio di Roma riquadro "11" zona di San Paolo.

romano appartenente al primo catasto istituito in Roma da Pio VII e che da lui prese il nome.

Essa è datata 1818-1819 gli anni cioè che furono necessari alla sua compilazione. Dai suoi relativi broliardi risulta che la vigna garibaldina era a quell'epoca di proprietà di un certo Graspelli Nicola e che la particella catastale relativa al casale era la n. 255 (tralasciando per non fare confusione tutte le altre relative all'intero appezzamento di terreno), mentre l'a1tra apparteneva ai Monaci Carmelitani del convento di S. Maria della Traspontina ed il cui Casale era contraddistinto con la particella n. 257.

Di ambedue erano enfiteuti i Monaci Cassinensi della Basilica di S. Paolo, che tali rimarranno fino agli inizi del secolo, quando la legge consentì l'affrancazione dei canoni.

Negli anni 1835-39 il catasto subì un ulteriore ampliamento e perfezionamento per volontà di Papa Gregorio XVI.

Vennero appellati con il suo nome i catasti (un registro per ogni lettera alfabetica) per consentire la ricerca al nome dell'allora proprietario mentre nei precedenti broliardi essa poteva avvenire solo per numero di particella catastale rilevata dalla mappa. A questa epoca, la situazione nelle nostre due vigne resta immutata.

Sempre in quell'anno, però, venne anche istituito il " Registro dei Trasporti"ove venivano accuratamente annotati i passaggi di proprietà per effetto dei contratti di compra-vendita: il tutto accuratamente registrato.

Veniamo così a sapere che (come già sappiamo) Michele Matteini con atti del notaio Campagna in data 16 settembre 1843 acquista la vigna che con il suo nome sarà tramandata nei libri di storia per via del famoso episodio che si svolse in essa, nell'ottobre del 1867, mentre l'altra, la sua vicina, non subiva variazioni di questo genere.

Doveva giungere, nel 1872, la Giunta Liquidatrice dell'Asse Ecclesiastico perché - espropriata ai Monaci Carmelitani -- essa divenisse proprietà di certo La Monaca Edoardo. Da questo momento

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Veduta aerea della zona Ostiense bivio strada Laurentina eseguita nel 1919 dal Cap. Umberto Nistri pioniere dell'aerofotogrammetria (Fototeca di Stato)

inizia una sarabanda di cambiamenti: nel 1881 la comprò tale Ricci Domenico i cui figlioli - avutala per successione nel 1906 - la vendettero nel 1907 ad Augusto Volpi che vi impianto la famosa trattoria che da lui prese il nome e che lo conservò - scritto ben chiaro a vernice bianca - sino al giorno in cui mi ci imbattei per la prima volta. Ora il suo fianco destro - come tutto il resto - è coperto da una brutta mano di tinta color... cane che fugge... dopo.., ma facendo attenzione le lettere della vecchia scritta fanno maliziosamente rilievo sotto lo strato di intonaco.

Dal 1907 al 1912 la vicinanza tra i Volpi ed i Matteini si tradusse in una forma di simpatica amicizia fra le due famiglie. Il sor Augusto aveva una splendida figlia, unica, di nome Aurora, una simpatica ragazza bruna dotata di una magnifica voce da mezzo soprano. Dato che desideravano per lei una sistemazione migliore di quella dell'ostessa, la fecero studiare canto e poiché Romeo junior (il figliolo postumo del "solo reo" dianzi nominato) aveva una poderosa voce da basso, molte belle seratine musicali ebbero luogo nel salotto di via Urbana, dimora romana dei Matteini stessi.

Poi, quel basso profondo, si dedicò seriamente alla lirica, iniziò ad avere contratti anche all'estero: Cantò con Marconi, Cotogni (di cui divenne nipote acquisito), Pertile e De Angelis ed anche se era scritto che un giorno dovesse troncare all'improvviso la sua promettente carriera per cause indipendenti dalla sua volontà, pure i suoi favorevoli inizi furono sufficienti a contribuire non poco ad allentare i rapporti fra le due famiglie. Sono rimaste solo le fotografie a documentarne la esistenza.

Già nel 1912 il nostro trattore aveva venduto la sua proprietà a Federico Santini, ed era rimasto solo come inquilino esercente, ma nel 1918 essa pervenne ancora a quel Giacobbi Oreste, padre di Leopoldo, che fu l'ultimo proprietario "privato" della ex vigna dei Monaci Carmelitani.

Da questo periodo le sorti delle due tenutelle si accomunano: vengono entrambe espropriate, sul finire dell'anno 1920 a favore dell'Ente Autonomo per lo Sviluppo Marittimo ed Industriale di Roma il quale, però, viene messo in liquidazione già il 30 giugno del 1923.

Il Giacobbi, intanto, riesce ad ottenerne la retrocessione con rogito Varcasia del 20 luglio 1922, mentre gli eredi Matteini, frazionati e privi di una guida capace perdono la partita.

Con Decreto Prefettizio del 22 gennaio 1921, il casale di Vigna Matteini, contraddistinto con la particella catastale n. 255 fu impietosamente destinato alla demolizione, in nome di un non ben definito progresso tecnico industriale rimasto poi sulla carta, senza tenere in nessuna considerazione il suo ruolo di protagonista del glorioso scontro tra "garibaldini e papalini" del 1867, terminato con feriti, prigionieri e processi politici eclatanti.

Il suo vicino, contraddistinto con la particella catastale n. 257 assolutamente estraneo a quegli avvenimenti (come si evince dalla ricostruzione delle sue civili vicende), puntigliosamente ed erroneamente conservato al suo posto!

Espropriato nel 1929 dalla Prefettura di Roma con decreto del 28 novembre 1929 e passato poi dal Demanio dello Stato al Governatorato di Roma con una stipula di forma pubblico-amministrativa del 2 marzo 1933, il bonario e gaio casale più noto come " Trattoria Volpi ", teatro di festose riunioni e di tipiche abbuffate in perfetto stile romanesco, autentico testimone di una edilizia rurale tipica dell'agro romano per molti versi pregevole, vive ancora, usurpando - lui incolpevole - una fama ed una memoria che inspiegabilmente gli sono state imposte.

Lasciamolo anche prosperare, ma togliamogli quella etichetta che non gli compete e cerchiamo anche di riparare, magari intitolando il primo tratto di Via Silvio d'Amico, (l'antica e gloriosa via delle statue, la cui carreggiata, seppure ampliata e rimodernata, scorre sempre sull'esatto percorso nel quale si apriva il cancello di Vigna Matteini), alla vera protagonista di quello storico fatto d'armi.

Vittorina Novara

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1 Strenna dei Romanisti 1982, XLIII, "L'episodio di Vigna Matteini".