Chi tra i più maturi di noi non ha fatto, almeno una volta, una gita ai Castelli a bordo del "tranvetto a due piani", il famoso Imperiale?

Che vista si godeva dal piano superiore!

Oggi, nemmeno dal più costoso e sofisticato pullman da gran turismo si riesce ad averla simile.

Allora, quelle biancoazzurre vetture della Stefer sferragliavano scampanellando sulle rotaie lungo l'Appia Nuova; poi, dopo l'ampia curva che immette in quella che sarebbe divenuta l'odierna via delle Cave, proseguivano il loro tragitto sulla Tuscolana a quell'epoca fiancheggiata da poche modeste casette a uno o due piani, sottopassavano gli archi di Porta Furba e giù per la discesa ripida del Quadraro, piccola borgata ultraperiferica scarsamente popolata, e poi via attraverso campi e vigne su cui dovevano ancora sorgere il Centro Sperimentale di Cinematografia e la mitica Cinecittà, per sostare ansanti e stridenti davanti alla piccola ma celebre Osteria del Curato. Una fojetta al volo e poi, dopo Tor di Mezzavia e Casal Morena su, su per la salita di Villa Senni e di Borghetto, che ad ogni svolta ti offriva un panorama sempre più ampio e suggestivo, ricalcando presso a poco il percorso dell'antica via Latina, già ribattezzata "Anagnina", fino alla prima incantevole tappa del circuito dei Castelli: Grottaferrata.

Poi, avrebbe toccato tutti i gioielli di quello splendido serto di paesi che incornicia Roma nel suo versante sud, ma è il primo quello che a noi interessa e del quale ci vogliamo occupare, qui.

Piccolo, ridente, delizioso paesino che ora si può raggiungere in poche decine di minuti di macchina, ma che una volta era meta di avventurose gite e, perfino, di romantici viaggi di nozze, Grottaferrata è un piccolo agglomerato di case che aveva il suo centro nello stradone che porta diritto alla possente cinta di mura del castello che Giulio II ave va fatto costruire a difesa della celebre Abbazia di S. Nilo.

Poche strade a scacchiera dividevano l'abitato sia nel versante superiore che in quello inferiore allo stradone e poi tutt'intorno ville sparse nella quiete di piccoli orti e giardini.

Oggi non è più così: a causa della urbanizzazione eccessiva della Capitale, molte persone hanno preferito trasferirsi nella serena quiete di questo piccolo centro; ed ecco che molte ville sono state abbattute per fare posto a edifici molto più capienti; come pure molti orti e giardini sono scomparsi per fare posto ad altrettanti comprensori o residence, secondo la terminologia d'oggi.

E questa fine - una brutta fine per la verità - è toccata anche ad una graziosa e ridente villetta in stile liberty, con il suo caratteristico bow-window terrazzato accanto alla porta d'ingresso, circondata da un vasto appezzamento di terreno coltivato a vigna, a frutteto e orto casalingo, posta proprio nel punto dove si incrociano la via Anagnina che sale verso la vecchia Osteria del Fico e il viale S.Bartolomeo che porta verso il Corso del paese.

In quel piccolo paradiso venne a stabilirsi poco dopo la fine della prima Guerra Mondiale un anziano signore piemontese, Francesco Mascarino, nato ad Acqui nel 1852, calato a Roma nel 1899, già funzionario del Ministero del Tesoro e precisamente "Ricevitore del Bollo Straordinario", che si pagava prima in via dei Chiavari n.1B e poi al pianterreno del vecchio palazzo Mattei di piazza Paganica.

Egli, una volta andato in pensione, non se la sentì di continuare a vivere nella babelica metropoli che era divenuta Roma nel secondo decennio del secolo e preferì ritirarsi con la sua compagna nella verde tranquillità dell'accogliente Grottaferrata.

Per quanto "buzzurro" (come venivano chiamati i piemontesi immigrati nella Capitale) il sor Francesco era di carattere gioviale ed amava la buona compagnia. Aveva un amico fraterno, lo scultore Augusto Sassi la cui moglie, Ersilia era la sorella di Cesare Crescenzi un poeta romanesco piuttosto conosciuto: essi furono i primi ed i più assidui frequentatori del bel salotto al pianoterra illuminato dai vetri istoriati del piccolo giardino d'inverno che ne costituivano l'intera parete verso l'esterno.

Il sor Augusto aveva un nipote musicista figlio della sorella Giuditta c dello scultore Giovanni Battista Belpassi, patriota del '67: Enrico. Questi era stato allievo di Sgambati con il quale era rimasto in deferente amicizia ed attraverso il quale aveva conosciuto il violinista Ettore Pinelli, fondatore del famoso complesso "L'Orchestrale", parente stretto del "Quintetto della Regina".

Insieme ad altri allievi di Santa Cecilia, quali Vincenzo Rabaud, Tito Moriachesi, Romolo Jacobacci, Filippo Guglielmi si recava spesso a suonare nel salotto Mascarino e più di una volta furono onorati dalla visita del Maestro Setaccioli e del grande Toto Cotogni. il celebre baritono intimo dello scultore Belpassi e padrino del musicista Enrico.

Da parte sua Augusto Sassi intratteneva cordiali rapporti con la maggior parte degli scultori dell'epoca e non di rado accadeva che proprio nel salotto Mascarino accese discussioni lo coinvolgessero assieme con i suoi amici Leonardo Bistolfi, Egidio Gallori e Arnaldo Zocchi.

Dalla primavera avanzata e fino al tempo della vendemmia, quando cioè erano più facili gli spostamenti e le giornate si facevano più lunghe, Villa Mascarino si risvegliava dal suo letargo invernale e cominciava ad animarsi di quelle voci e di quei suoni. Le note del pianoforte si spandevano tutt'intorno e il bel canto di qualche romantica signora accompagnava le composizioni di quel nugolo di musicisti.

Per più di un decennio questo cenacolo di artisti seguitò a riunirsi per parlare d'arte, di musica e di poesia tra gioiosi pranzi, cene, carciofolate e, perché no? merende a base di fave e pecorino: il tutto innaffiato dall'ottimo vino di Grottaferrata, curato personalmente dal padrone di casa che, da buon piemontese, sapeva il fatto suo.

Purtroppo questa sana allegria e spensieratezza non dovevano durare a lungo. Piano piano cominciarono le defezioni... forzate.

Uno alla volta gli allegri convitati lasciarono questo mondo e siamo certi che saranno tornati a ritrovarsi in altro luogo ancora più sereno e felice di quello che avevano lasciato.

Quando Francesco Mascarino morì, il 17 marzo 1944, ultimo sopravissuto di tanta compagnia, Grottaferrata aveva già conosciuto il periodo più tragico della sua storia iniziato col bombardamento dell'8 settembre 1943 e che si sarebbe concluso il 3 giugno del '44, con l'arrivo degli Alleati.

Se quegli spiriti eletti tornassero oggi a rivisitare quel lembo di terra all'angolo fra l`Anagnina e viale San Bartolomeo si sentirebbero sopraffare dallo spavento: dove era l'elegante villetta stile liberty immersa tra alberi e siepi sempre verdi, incombe un gruppo di edifici tozzi c volgari in uno squallido stile pseudo colonial-messicano-spagnolo e non c`è neanche più il nettare di monsiù

Francesco (neh?) a risanare l'atroce ferita...

Vittorina Novara