Il grazioso paesino di Poli, posto com'e nella fascia intermedia dei Monti Prenestini, costituisce unitamente a San Gregorio in Sassola e Casape, il sistema di collegamento tra la via Tiburtina (Tivoli) e la via Prenestina (Palestrina).

La sua origine si perde nella notte dei tempi. E dobbiamo rinunciare in questa sede a ripercorrere le tante vicende di una località il cui interesse storico e di particolare rilevanza. Chi voglia può ancora ricorrere alle Memorie del concittadino monsignor Giuseppe Cascioli che, edite a Roma nel 1896, sono ancora un testo valido come base per ulteriori approfondimenti. Mi limiterò a ricordare che sono vicende - quelle di Poli - strettamente legate nel Medioevo alla grande famiglia dei Conti di Segni che tre papi dette alla Chiesa in quei tempi lontani, Innocenzo III, Gregorio IX e Alessandro IV: legami tanto stretti che proprio Poli ha dato il suo nome ad uno dei due rami della casata, quello che ha annoverato in tempi più vicini un'altra figura di pontefice, Innocenzo XIII (1721-1724). Ma e anche il caso di ricordare che già nel 1540 Paolo III Farnese aveva eletto il feudo di Poli a ducato, in ricompensa dei servizi resi da vari esponenti della famiglia che avevano militato nelle file dell'esercito cristianissimo contro quello musulmano, agli ordini del nipote Alessandro Farnese.

La casata dei Conti di Poli si estinguerà nella notte del 4 giugno 1808 con la morte, senza discendenza diretta, di Michelangelo. L'eredita sarà assunta dagli Sforza Cesarini che ben presto, nel 1820, venderanno il ducato di Poli ai Torlonia. Ma il nome dei Conti resterà a contraddistinguere il vetusto palazzo feudale, risalente al principio del secolo XII, e quasi completamente rifatto nel Cinquecento. Sorge all'ingresso del suggestivo borgo medievale e, nonostante le sue tante traversie, e tuttora di cosi rilevante interesse che anche la benemerita Guida del Lazio del TCI ha voluto richiamare su di esso l'attenzione degli amanti di vecchie memorie:

La facciata principale prospetta su una raccolta piazzetta dalla quale, per una bassa scalinata (ai lati sono collocate due fontane composte da sarcofagi romani) e per un monumentale portale di linee tardo rinascimentali, si accede ad un profondo androne ornato di grottesche; di qui si passa nel cortiletto, in parte a portico e loggia decorati da eleganti pitture, dov'e un fontanone della fine del '500, di autore lombardo. Per uno scalone dalla volta ornata di grottesche, si sale alla loggia con affreschi a vedute paesistiche nelle lunette. Gli interni, ben conservati, sono ornati di pitture e grottesche della fine del secolo XVI (uno reca la data 1596). Una bassa ala che limita la piazza a destra della facciata incorpora la cappella del palazzo, adorna di stucchi: sull'altare affresco con S.Francesco stigmatizzato, opera giovanile firmata del cav. D'Arpino.

Ma il Vecchio palazzo merita di essere ancora ripercorso, con occhio più attento, ricordando anzitutto che sistematicamente, anno dopo anno, il Castello fu spogliato del ricco arredamento che comprendeva pezzi di inestimabile valore. I busti, le tele, persino i trofei che costituivano il prezioso museo di famiglia, tutto ha preso la via di Roma, nulla è rimasto, salvo, per forza di cose gli affreschi dei soffitti e delle pareti. Attualmente e tutto adibito ad abitazioni private mentre il piano terreno e riservato agli uffici del Comune.

La prima raffigurazione che si ha del nostro Castello I: quella del padre Kircher, risalente al 1665, ma essa non ci porta nessuna descrizione della parte architettonica limitandosi l'autore a rappresentare la sontuosità degli ambienti, la vastità e la bellezza dei giardini, l'abbondanza delle acque. La sua preoccupazione e solo quella di esaltare le ricchezze e la potenza dei duchi di Poli.

La descrizione di monsignor Cascioli - che ormai risale a quasi cento anni fa (1896) quando il palazzo, oltre ad essere più giovane di un secolo, aveva ancora un unico proprietario, i Torlonia, e godeva di condizioni decisamente migliori di quelle attuali - può solo farci intuire come conservasse ancora quella atmosfera inconfondibile di nobiltà, seppure già decadente, che tanto fascino riesce a trasmettere in chi lo va ammirando. Oggi purtroppo non è più cosi.

Le persiane e le ringhiere di ferro fanno a pugni con la facciata, classica nella sua rustica semplicità, cui le numerose finestre murate alterano la proporzione tra i vuoti ed i pieni già compromessa per l'asimmetrica conformazione delle arcate antistanti il piano terreno. Sulle facciate ad est e mezzodì, che sono proprio le più antiche, sono spuntati gli orrendi balconcini che fino a qualche decennio fa costituivano i...servizi igienici delle abitazioni che, numerose, sono state ricavate nell'antico maniero. Sugli spalti sono stati Creati terrazze e belvederi, ballatoi sono stati collocati a guisa di... coperchi persino sui contrafforti di sostegno.

Infine è del tutto scomparso il reperto più antico e cioè la targa marmorea infissa sul muro di mezzogiorno che recava la data del 1115 e il nome di Oddone Conte di Poli. Anche il nostro monsignore critica appieno la decisione di Torquato I quando dice che: "... la rocca venne inconsultamente tutta trasformata e ridotta a palazzo...". Il guaio maggiore fu che questi lavori iniziati nella seconda meta del Cinquecento durarono circa centocinquantanni seguendo l'estro e i gusti di almeno sei feudatari per un arco di tempo che va dal tardo Rinascimento fin quasi al Barocco.

L'antica fortezza, una delle più inespugnabili del Lazio, fondata sopra l'enorme masso tufaceo ora rivestito di un poderoso muro a scarpa sui tre lati scoperti, levante, mezzogiorno e settentrione, a quei tempi era del tutto isolata dal paese Cui era Collegata dal lato di ponente con un poderoso rampante, su cui poteva abbattersi il ponte levatoio.

Fu su questo lato che vennero costruiti la nuova ala e il grande loggiato asimmetrico che, salendo dal piano del preesistente fossato su due file di archi paralleli, assolveva le due funzioni: di abbellimento e di sostegno della nuova costruzione. Il rampante fu livellato ed il ponte fu sostituito con un cavalcavia, gettato tra la piazza ed il portale, e sostenuto lateralmente da due bastioni rotondi fondati ugualmente nel fossato le cui sommità merlate alla guelfa formano due spazi rotondi laterali all'accesso, di bell'effetto. Sui merli fu appoggiato il tetto e sparirono cosi le belle terrazze ed i camminamenti; le torri, che sicuramente esistevano, furono inglobate nelle aggiunte di riempitura che trasformarono cosi la costruzione in un unico blocco distinguibile solo dall'interno in due corpi, uno posteriore ed uno anteriore, collegati tra loro da quello che if rimasto del cortile d'onore, muniti ciascuno di ingresso a portale di tipo vignoleggiante. La piazza fu abbellita con due sarcofagi romani, trovati nelle campagne adiacenti, in funzione di fontane. Una bassa ala, che comprende il solo piano terreno, si allunga a mano sinistra dall'estremo della facciata e forma quasi pendant con la porta che fu eretta appoggiata cioè con un fianco addossato, all'estremo della facciata a mano destra; si formano cosi due quinte al prospetto, seppure di misure diseguali_ Il dislivello fu annullato mediante la costruzione di un grande terrapieno che, salendo lungo il lato settentrionale del fabbricato, raggiunge - dalla piazza sottostante chiamata La Villa - la quota dell'ingresso al castello, oggi chiamata piazza Conti.

Entrando nel palazzo ci si immette in uno spazioso androne che giunge sino al cortile che separa i due corpi di fabbrica, sottopassando in profondità tutta l'ala anteriore. Il suo soffitto a botte E: affrescato a grottesche al cui centro campeggia l'aquila del blasone della famiglia.

Sulla sinistra poco oltre la meta si apre lo scalone che porta ai piani, anch'esso riccamente pitturato.

Si entra nel minuscolo cortile dove la grande fontana barocca a nicchione, sovraccarica di ornamenti, risulta decisamente fuori posto soprattutto se si alza lo sguardo al piccolo loggiato che, al primo piano, vi si affaccia per tre lati.

Se si potesse cancellare la fin troppo ricca decorazione cinquecentesca, emergerebbe ancor di più l'aria medioevale dell'insieme con le sue eleganti e snelle colonnine angolari, che sorreggono le tre ampie e slanciate arcate, e con gli splendidi soffitti a vele rimarcati dalle nervature a crociera. Il tutto in uno stato quasi di decomposizione.

Da questa chiostrina - attraverso un altro grande portale sovrastato dallo stemma - si entra nell'appartamento cosiddetto di Torquato I, occupato oggi dagli Uffici del Comune. Nel salone che si presenta e stata sistemata l'aula consiliare dalla quale, mediante una porticina, si va nello studio del sindaco che potrebbe essere lo stesso del nostro personaggio.

Tutti gli ambienti sono riccamente decorati, nelle pareti, nelle specchiature e nelle lunette con episodi della storia della famiglia e con quelli della carriera militare del Nostro. Un'alta fascia decora ogni ambiente alla fine delle pareti poco sotto l'attacco dei soffitti. In un piccolo vano in fondo, la cui finestra s'affaccia sull'estrema parete a levante, due colonnine reggono una piccola Volta affrescata con scene mitologiche, talmente rigonfia e pericolante da dover essere imbragata con due orride putrelle in croce, già deformate dal peso, tinteggiate per giunta in uno squallido verde marcio.

Del resto gli stupendi affreschi c tutta la decorazione degli ambienti al piano nobile, ammessi alla visita del pubblico, non versano davvero in migliori condizioni. Il rifacimento del pavimento del grande salone centrale, avvenuto in epoca imprecisata, ha fatto sparire il gigantesco stemma in marmo della casata intorno al quale si leggeva FULGOR NON TERRET - TORQUATUS COMITIBUS I. Al suo posto una anonima stella multipunte di marmo giallo.

La parete d'ingresso e la parete di facciata di questo ambiente sono decorate da un'alta. fascia nella quale sono inseriti degli ovali contenenti i ritratti di un Ferdinando Medici, di un Ferdinando arciduca d'Austria (non si pub dare la numerazione perché le scritte sono illeggibili). Vi sono raffigurati, inoltre, un Sigismondo Baltori principe di Transilvania, Rodolfo Il d'Asburgo e Clemente VIII.

Più in alto, tutto intorno, corre una frangia nella quale sono riportati tutti gli stemmi delle famiglie innestale con la Conti. Nelle due pareti laterali gli affreschi rappresentano fatti guerreschi. Ad una certa altezza, nell'incorniciatura dei dipinti sono murati uno per parte due piccoli cartigli di pergamena, muniti di bolli a rilievo, purtroppo illeggibili a causa della distanza e della poca luce.

Da una porticina a destra dell'entrata si entra in una piccolissima cappella il cui affresco dell'unico altare raffigura San Francesco in alto di ricevere le stimmate, opera firmata di Giuseppe Cesari detto il Cavalier D'Arpino. Le pareti sono tutte affrescate con episodi relativi ai rapporti tra il Poverello d'Assisi ed Innocenzo Ill. Nella sala attigua al salone principale le pareti sono tutte affrescate con episodi militari della vita dei due Appini I e II e di Torquato II.

Tutto versa in condizioni proibitive per la staticità e per la conservazione del monumento. Tutte le pareti, tutti i muri presentano crepe profondissime, in molte delle quali entrerebbe un dito, sono in grande misura aggrediti dalle muffe, vi sono tracce di imponenti infiltrazioni d'acqua che hanno dilavato anche certe zone degli affreschi, molte sono le superfici d'intonaco cadute e tratti estesi di muratura si affacciano dalle pitture. Occorrerebbe progettare un grande piano di ristrutturazione delle parti architettonico-strutturali e di restauro di quelle decorative (stucchi, affreschi e dipinti) per non correre il pericolo di una completa rovina per una struttura - che pur avendo perduto il suo carattere originario - rappresenta pur sempre, anche nella sua trasformazione, una splendida testimonianza del1'edilizia aristocratica nell'antico Lazio.

Vittorina Novara