I turisti di tutto il mondo che affollano le strade di Roma hanno, sin dal momento della loro partenza, degli obiettivi già fermamente fissati nei loro itinerari, brevi o lunghi che siano.

Dopo le tradizionali visite ai luoghi sacri, alla cristianità, all'archeologia ed all'arte, sono sempre ansiosi e desiderosi di recarsi a passeggiare nelle strade più famose e più indicate per fare dello "shopping" e per questo motivo conosciute nel mondo intero: Via Condotti, Piazza di Spagna e Via Sistina; strade affascinanti per la loro animazione, per la folla cosmopolita che le frequenta, per lo sfolgorio delle luci, la ricchezza delle vetrine e per la classe della merce che vi si vende.

Per Piazza di Spagna e Via Condotti la tradizione è più, antica, infatti, già alla fine del settecento la maggior parte dei visitatori stranieri - soprattutto inglesi e tedeschi - si radunava in quella zona, per cui molti alberghi ed altrettante locande sorsero appunto nei suoi dintorni sparpagliandosi poi per tutta la piana del Campo Marzio lungo 1'asse centrale del Corso.

Per quanto, però, fosse conosciuto ed ammirato questo settore del famoso "Tridente" - a sinistra entrando dalla Porta del Popolo - è necessario arrivare alla fine della seconda guerra mondiale per giungere - molto velocemente - all'attuale coinvolgimento di tutta la "Platea Trinitatis" comprese cioè tutte le vie in essa confluenti tra le quali l'antica via dei Condotti (dell'Acqua Vergine) assunse il ruolo di regina divenendo temibile concorrente di tutte le First Avenues del mondo.

Poi, la notorietà e la fama si arrampicarono correndo su per i gradini della splendida scalinata, mercè l'aiuto dell'internazionale clientela dei Grandi Alberghi "Hassler"" e "de la Ville" e la complicità delle opulente Mostre floreali organizzate dal Comune; a tanto fascino fu impossibile resistere: anche via Sistina capitolò, abbandonò la via Gregoriana con la quale divideva la tranquillità e la classe e si tuffò a capofitto nella celebrità.

Passeggiare oggi per via Sistina e un piacere anche se disturbato alquanto dal traffico continuo e rumoroso che la congestiona: i negozi risplendenti di luci, le boutiques dalle vetrine dei colori dell'arcobaleno, i gioielli e le pietre preziose che scintillano suoi plateau delle gioiellerie, le stampe ed i quadri in mostra nelle Gallerie d'Arte, tutto contribuisce a creare un'atmosfera ricca, esaltante, colma di fascino.

Ma non basta. Salendo dolcemente dalla piazza Barberini verso la Trinità dei Monti, la via ci permette di ammirare la snella mole dell'obelisco di Papa Pio VI Braschi stagliarsi verso il cielo e mano a mano che si prosegue si vedono salire alle sue spalle le verdi alture di Monte Mario, la bianca chiesetta della Madonna della Febbre, oggi Madonna del Rosario, la cupola dell'Osservatorio, la gigantesca antenna della RAI-TV e le centinaia di finestre del Cavalieri-Hilton che occhieggiano verso la città.

Se si ritorna, invece, si ha la visione dell'obelisco Sistino e della mole rotonda dell'abside di S. Maria Maggiore la sua cupola ed il campanile che scompaiono poi lentamente dietro la gobba di Quattro Fontane, mano a mano che si procede per la dolce discesa.

Questo è il favoloso paesaggio della via immutato nei secoli; ma quanto diversamente si è trasformato il suo ambiente!

Alle generazioni di oggi, probabilmente, riesce impossibile immaginare diversamente lo spettacolo che offre questo spicchio di centro veramente storico; la pedonalizzazione dell'ultimo tratto di via del Corso ne é stato il tocco finale perché, in definitiva, ogni variazione del volume del traffico si ripercuote, poi, sia in entrata che in uscita nella nostra via.

Nessuno crederebbe che quando essa fu tracciata nel 1586 per volere di quel grande Papa che fu il minore conventuale Felice Peretti, Sisto V, essa non era che un semplice tracciato che, attraverso campi e vigne, congiungeva la chiesa della Trinità dei Monti alla basilica di S. Croce in Gerusalemme attraversando idealmente la mole di S. Maria Maggiore!

Si stenta a credere che essa, sino agli inizi di questo secolo, fosse considerata una Strada di periferia, ma se noi analizziamo attentamente il famoso acquerello di Roesler-Franz raffigurante la "Piazza Barberina", recepiamo subito l'aria quasi campagnola dell'ambiente e se richiamiamo alla nostra mente la topografia della zona, possiamo constatare che essa, qualche metro più a nord, confinava con la distrutta villa Ludovisi e che oltre questa non vi erano che le mura Aureliane.

La città, dunque, volendo così appellare la piccola Roma degli ultimi anni di Governo temporale, terminava appunto alle spalle del poderoso tritone berniniano e mai nessun paese ebbe termini di confine cosi prestigiosi!

Periferia, dunque, e di conseguenza una popolazione "stanziale" di modestissima condizione economica che, frequentemente, per arrotondare i magri guadagni irrobustiva le entrate affittando camere agli stranieri e fra questi, molti furono gli artisti, popolazione "migratoria" ma, anche questa, di scarse possibilità finanziarie.

E' inutile, qui, indicare tutti i nomi dei personaggi famosi che, in varie epoche, soggiornarono nella zona; moltissimi altri prima di me hanno raccontato i soggiorni del Torwaldsen, dell'Andersen, del Gregorovius, di Ingres, di Liszt, di Gogol, di Ibsen ed altri ancora, tutti, o quasi, ricordati nei marmi apposti sulle facciate delle case che li ospitarono.

Periferia si, ma non squallida ed ostile all'uomo, allietata tutto il giorno dal cinguettio degli uccelli e dallo stridere delle rondini che oggi, purtroppo, è possibile ascoltare solo nelle primissime ore del mattino. Animata dai campanelli delle bestie da tiro, dai belati di qualche piccolo gregge, dai richiami dei venditori ambulanti, dai mille rumori dell'operosità umana. Tutte voci che in alcune ore del giorno sparivano per lasciar posto ad un'atmosfera riposante di pace e tranquillità.

Fin Verso il 1880, la Strada aveva due nomi: il tratto che dalla chiesa della Trinita dei Monti giungeva sino all'incrocio con via di Porta Pinciana (l'attuale via Francesco Crispi) si chiamava via Sistina, l'altro che da quell'incrocio arrivava sino alla piazza Barberini si chiamava via Felice. La numerazione, però era unica per ambedue i tratti. Posteriormente, fu tutta via Sistina.

Ritorniamo alla veduta di Roesler-Franz e facciamone il nostro punto di partenza.

All'imbocco della strada, sull'angolo di destra, vediamo la fontana delle Api che attualmente si trova all'inizio della via Veneto.

Sulla sinistra si apre una porticina stretta e scura che ritengo possa essere l'ingresso della famosa "Osteria della Chiavica" che tanto negativamente impressionò il Gregorovius. Era la prima delle cinque disseminate sull'intero percorso tra le quali quella di "Ferraresi" all'angolo delle Zucchelle e quella della sora "Flaminia" al numero 69.

Oltre alle osterie c'era la "Fiaschetteria Coppola" più tre negozi di "orzarolo", tipici spacci di generi alimentari ove era possibile trovare anche generi diversi come scope, radica saponaria, candele ecc. La merce vi veniva esposta direttamente nei sacchi, nelle damigiane o nelle casse nelle quali era contenuta.

Tre o quattro botteghe di caffè delle quali una al 106, all'angolo di via di Porta Pinciana che, precedentemente, era molto nota come il "Caffe delle Nocchie" dal cognome delle precedenti proprietarie (1).

Gli artigiani erano numerosi: lo stagnaro Marzolini al numero 32; l'ebanista Bertinelli (ebanista, quindi un po' più su di un semplice falegname); un barbiere, quasi all'angolo vicino alla fontana; due quadrerie, verosimilmente negozi di cornici, il doratore Tagliaferri al numero 27; un calzolaio al n. 3, chissà se confezionava scarpe su misura o, molto probabilmente, era solo un povero ciabattino?

Nel palazzo Tomati, che corrisponde all'attuale numero 48, funzionava una piccola tipografia con relativa fonderia per l'incisione dei caratteri, occupando i locali terreni ed il primo piano.

Al numero 28 la "Sartoria di S. Francesco" con ventitre alunne dirette da cinque religiose (una sartoria ecclesiastica?) era la antesignana della Haute Couture che avrebbe poi avuto dimora stabile nella strada.

I numerosi studi artistici in arte bianca o bronzo ed i laboratori degli scalpellini sono stati i precursori delle odierne Gallerie d'Arte; ma con grande semplicità e modestia si alternavano alle grotte adibite a stalle per i cavalli delle carrozzelle e non si vergognavano a dividere lo stesso paesaggio con le due vaccherie dalle quali si poteva comprare del buon latte appena munto!

Al numero civico 60 i Fratelli delle Scuole Cristiane, sistemarono il primo nucleo di quella scuola che, ingrandita e trasferita, doveva diventare il celebre Istituto S. Giuseppe di salita San Sebastianello (2).

Ma la via non era ancora tutta fabbricata. Salendo verso la Trinita, a mano sinistra, oltrepassato il suddetto Palazzo Tomati, correva un lungo muro nel quale si aprivano due cancelli: uno quello del giardino Pacetti, l'altro quello del giardino Leonardi.

E' probabile, quindi, che qualche chioma arborea, qualche ciuffo di verde sporgesse sulla via dalla sommità del muro e possiamo immaginare quale suggestione derivasse dalla presenza di quella vegetazione.

Al numero 103 c'era una "bottega di zigari" che in un secondo tempo si trasferì al numero 108 da dove più non si è spostata ed ancora oggi esercita tranquillamente il suo commercio... di fumo esibendo con orgoglio nella sua insegna la scritta "Rivendita n. 1".

Oggi in via Sistina si trovano due dei più begli alberghi di Roma; allora, oltre alle famiglie che esercitavano - diremo per necessità - la professione di "albergatori", esistevano due locande vere e proprie: una, quella della vedova Buti (3) al n. 48 l'altra, quclla di Maria Bonomini, al n. 101 che esercitò la sua attività ininterrottamente dal 1837 al 1867.

Ella era entrata in quella casa nel 1831, già vedova di Domenico Fiori, portando seco la più piccola dei suoi figli, Teopista vulgo Marianna, nata nel 1818. Convolava in seconde nozze con tale Giacomo Berlani, facoltoso professore di musica e membro del Concerto dei Conservatori dell'Alma Città di Roma (dove concerto penso che stia per orchestra o banda) il quale, all'uopo, aveva acquistato l'intero palazzetto dal Principe Rospigliosi.

La famigliola visse felice sino al 1837, anno in cui il professore morì improvvisamente, e poiché a quel1'epoca i sistemi pensionistici lasciavano molto a desiderare, la povera Maria pensò bene di imitare la sua dirimpettaia, la vedova Buti, e, liberati i due piani sottostanti, li destinò ad uso di locanda.

Lei seguitò ad abitare al terzo piano con la sua Teopista che, nel frattempo si era sposata con lo scalpellino Antonio Sassi.

I1 fabbricato era munito di tutte le comodità. Al piano terreno, sulla sinistra dell'ingresso si entrava nel lavatoio con la sua brava caldaia per far bollire il bucato, sulla destra un'altra porta conduceva ad un altro vano nel mezzo del quale si trovava il pozzo che forniva l'acqua agli abitanti e nel quale si facevano ingrassare i capitoni per il Natale; seguitando si entrava nella stalla, poiché si trattava di famiglia agiata e perciò proprietaria di carretto e cavallo, che fu poi sostituito con il più economico ed utile somaro; infine, ancora un piccolo locale che serviva da magazzino e da dispensa.

Attualmente questi locali hanno tutti la loro brava apertura sulla strada e sono divenuti negozi.

Poiché la famigliola aumentava, il bravo Antonio, che oltre ad essere scalpellino si intendeva probabilmente di muratura, pensò bene di ingrandire la casa e trasformò le soffitte facendone un quarto appartamentino in tutto e per tutto simile agli altri tre.

Nel 1857 Maria Bonomini vedova Fiori, vedova Berlani, passò a miglior vita, ma la brava Teopista non si montò affatto la testa per essere divenuta proprietaria della locanda e - probabilmente - anche di un discreto gruzzoletto.

Nel 1862, visto che era andata bene una volta pensò di rialzare ancora la sua casa e la munì di un bell'attico, un quinto piano anche questo per mano dell'ottimo marito, scalpellino e capomastro provetto.

Ora la locanda constava di quattro piani - la famiglia, i genitori e quattro figli, erano saliti nella casa nuova - e le cose sarebbero progredite bene per un pezzo se non fosse accaduto un grave inconveniente: un loro pigionante, implicato nella mancata insurrezione del 1867, si allontanò quella sera da casa e non vi fece più ritorno, stante il fallimento dell'impresa, si era dato alla latitanza. Serie complicazioni intervennero a causa delle ripetute e pesanti visite della polizia per cui, la famiglia, affittati i quartierini, si trasferì in una vigna che possedeva nel suburbio sud-est e precisamente a Tor Pignattara, ove rimase fino al 1872, anno della morte del povero Antonio.

Nel 1873 Teopista ritornò ad abitare il suo attico insieme con la figlia Giuditta (gli altri sistemati altrove) ed il genero: proprio quel suo pigionante patriota e garibaldino che le aveva procurato tanti guai. Gli altri appartamenti rimasero affittati e cosi finì l'attività della locanda di Maria Bonomini.

Se oggi è difficile collocare la vecchia locanda nel dignitoso palazzetto tuttora esistente, lo si deve alla trasformazione del tessuto edilizio della via che cominciò ad operarsi sul finire dell'ottocento. Piccoli gruppi di casette vennero abbattuti per potervi costruire i tipici palazzi dell'epoca umbertina, imponenti e dignitosi. Le nuove classi abbienti volevano forse rivaleggiare con Palazzo Zuccari. Altre più tardi furono ristrutturate, ingrandite, abbellite, magari strizzando un occhio all'Art Nouveau, ma senza esagerare. Sono comunque ancora numerose le piccole casette di epoca sistiniana, sebbene la maggior parte con sopraelevazioni ottocentesche.

Una circostanza, tuttavia, aggiunge un tocco di romantica commozione alla storia sin qui raccontata. Si è verificato il caso inverso della piccola rivendita di tabacchi, la vecchia "bottega di zigari": mentre lì è l'esercizio, l'attività commerciale che è sopravvissuta attraverso i vari conduttori, nella cessata locanda le persone sono rimaste ad abitare nella stessa casa: dal 1831 ad oggi, Teopista ed i suoi discendenti sono ancora lì.

Non c'e più il lavatoio, né il pozzo, né la stalla con il piccolo magazzino; ma i muri, tirati su dalla mano esperta ed amorosa del Sor Antonio, ancora riparano i figli dei figli dei suoi figli: la discendenza di Giuditta, la bella figlia dagli occhioni azzurri ed i capelli biondo rame, che ritroviamo intatti nei suoi bisnipoti. Sua figlia Teresa mi parlava spesso della locanda di nonna Teopista; le sue descrizioni ed i suoi ricordi hanno completato le mie ricerche.

Una volta mi raccontò anche del piccolo concerto dato da Liszt per certi suoi amici stranieri alloggiati al secondo piano e del soggiorno che vi fece (Giuditta aveva circa dieci anni) Madame D'Agoult, alias Daniel Stern, che aveva preso in tanta affettuosa simpatia quella bimba "blanche et rouge même ma petite Blandine".

E chissà quante altre cose avrei potuto raccontarvi in più se fossi vissuta anch'io in quel dolce e romantico periodo nel quale via Sistina risuonava di stridi d'uccelli e di stormire di fronde fra il cigolìo della carrucola del pozzo ed il nitrito del cavallino riparato nella stalla.

Vittorina Novara Matteini

1 "Via Sistina u1tramontana" di J.B. Hartmann Strenna dei Rom.ti 1968.

2 J.B. Hartmann - opera citata.

3 Id. - id.