Alla mano destra di chi scende da piazza di Spagna per la via della Croce, all'incrocio con via Mario de' Fiori, si vede un grande fabbricato il cui portone d'ingresso e contraddistinto con il numero 81.

Le sue condizioni generali lasciano alquanto a desiderare ed è un vero peccato perché il suo prospetto possiede una certa espressione di imponenza e di austerità; per contro il suo fianco si presenta eccessivamente lungo ed anonimo: non per nulla, tantissimo tempo fa, il popolino lo aveva appellato "er grisino" (1).

Un androne spazioso, anche se di altezza non eccessiva, lastricato a sampietrini con le due bande di travertino per le ruote delle carrozze, immette in due spaziosi cortili, una volta allietati da una ricca vegetazione, divisi tra loro da un'ala interna del fabbricato munita di sottopasso a volta.

Non manca naturalmente il gorgoglio ininterrotto dell'acqua che una non troppo feroce testa di leone lascia cadere in un'antica vasca marmorea, a forma di sarcofago munita di zampe ed anelli, che proviene da un antico bagno principesco.

Le finestre sulla facciata sono sei, mentre sul lato lungo sono sedici, l'angolo é smussato, ricoperto da un finto bugnato molto rovinato e di poco spessore, fino all'altezza del terzo piano e prosegue poi, liscio, fra due lesene, nel quarto.

Vi sono due semplici marcapiani fra il primo e il secondo e fra il secondo ed il terzo, mentre una bella cornice incassata sotto le finestre del quarto farebbe pensare ad una sopraelevazione.

Potrebbe averla effettuata l'architetto romano Giuseppe Valadier quando ristrutturò il palazzo per ordine dell'ultimo acquirente (ultimo per quel periodo): Sua Eccellenza il Principe Stanislao Poniatowskj, nipote dell'ultimo Re di Polonia, ricchissimo, che vi si stabilì nell'ultimo quarto del XVIII secolo con la sua famiglia. Della sua piccola corte di notabile in esilio fece parte, sia pure solo per il biennio 1811-1813 e con le mansioni di segretario particolare, il grande poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli (2).

Solo queste notizie lo renderebbero interessante ai nostri occhi di appassionati cultori di curiosità romane, ma c'e qualche cosa d'altro che lo lega ancora di più alla storia della nostra città.

Nella mia piccola Storia di Vigna Matteini, vi raccontai, tra il serio ed il faceto, come Nino Costa rammentava essere la trattoria di Bedau, al n. 81 di via della Croce, uno dei punti segreti di ritrovo dei cospiratori romani. Egli l'aveva scelta "non soltanto perché ci potevamo fidare del proprietario e del personale di servizio ma soprattutto perché, oltre a rinomati pasti, ci offriva più e diverse vie di scampo in caso di sorprese poliziesche", e più avanti, riassumendo le sfortunate imprese del 22 ottobre dice "vista la piega presa dagli avvenimenti pensammo bene di ritrovarci a cena da Bedau" (3).

Ebbene, con mia grande meraviglia, ho potuto constatare che, lì, nel primo cortile interno del palazzo di via della Croce, al numero 81, la trattoria c'é ancora!

A questo punto era logico, anzi fatale, che la mia curiosità scattasse imperiosamente e mi spingesse ad informarmi, a sapere, a scoprire se e quali legami ci fossero fra questa e quella ed a portarli a vostra conoscenza.

Valendomi come sempre dell'impareggiabile ed impagabile cortesia del sig. Tosi del "Tabularium Lateranense" (non nuovo peraltro ai fasti della menzione onorifica da parte degli studiosi di cose romane) ho potuto tuffarmi nei vecchi libri della Parrocchia di S. Giacomo in Augusta, sotto la cui giurisdizione ricade quella zona, e pervenire alla scoperta che quei locali sono adibiti alla pubblica ristorazione ininterrottamente da ben centocinquanta anni!

Difatti è nel lontanissimo 1833 che Giovanni Nepomuceno Spillmann con la moglie, Anna Monsella viterbese, e con i loro sette figli (dei quali uno diverrà sacerdote) prende in affitto il

Il portone n. 81 di via della Croce già: Palazzo Poniatowsky "er grisino".

locale terreno nel primo cortile diritto al portone e vi allestisce un locale. Nel Registro delle Anime egli figura come "Credenziere" una corporazione che nel dizionario del Moroni viene descritta come una simbiosi tra il barista, il pasticcere e il trattore.

Un posto, insomma, dove si mangiava, si beveva, si faceva colazione il mattino con tanto di caffè e dove i clienti dovevano essere numerosi a giudicare dai collaboratori di cui il bravo Giovanni Nepomuceno aveva necessità: un cuoco, due serve ed un facchino di cucina.

La gestione Spillmann durò ininterrottamente dal 1833 al 1860 e fu solo nel 1862, dopo due anni di sfittanza, che nel locale approdò il nostro Bedeau, che si chiamava Luigi del fu Paolo di anni 47, il quale insieme alla moglie Annunziata Berni di anni 38 e una figlioletta di dieci anni, Adele, vi avvio un "Vino e Cucina" presumibilmente di tono più modesto del precedente. Lo aiutava nel suo lavoro il fratello Antonio di 45 anni, vedovo con una figlia di 20 anni, Agata.

Malgrado il cognome francese, essi, sui registri parrocchiali sono dichiarati romani. Gli affari progredirono per parecchi anni poi nel 1876 se ne andarono.

Nel 1887, due fratelli, Corradetti Luigi ed Emilio con le rispettive mogli ed i relativi figlioli, sono registrati come conduttori della piccola azienda che ora viene registrata come "Ristorante". Si fanno aiutare da due garzoni e dalla moglie di uno di essi; nel 1900 arrivano a dar manforte una sorella dei Corradetti, Filomena con il marito, di professione "cuoco", ma dopo due anni anche la tribù dei Corradetti sparisce dai registri.

Da quanto si legge sembrerebbe di capire che, nei periodi durante i quali i vani erano sfitti, ne usufruisse il portiere dello stabile, certo Vincenzo Vallorani, che esercitava anche il mestiere di sarto. Ma non lo si può affermare categoricamente in quanto dopo il 1870 la tenuta degli Stati delle Anime non e più cosi precisa ed attendibile come negli anni precedenti.

Il trapasso dei poteri dallo Stato Papale a quello Italiano segnò l'inizio di un mutamento nei costumi e nella mentalità della gente, mutamento che si proietta anche nei vecchi registri parrocchiali, l'introduzione - poi - dei servizi anagrafici di Stato Civile gli diede il colpo di grazia.

D'altra parte un graduale mutamento stava maturando nella popolazione che non avvertiva più la costrizione di dover fornire tutte quelle notizie riservate e personali che occorreva denunziare prima; si spegnevano mano a mano le antiche soggezioni e la gente divenne, con il tempo, più restia a raccontare le proprie cose e più indifferente a quelle degli altri sicché un poco alla Volta il censimento, delle popolazioni parrocchiali, che era stato istituito nel 1827, fini per decadere del tutto intorno ai primi del Novecento.

In tutto questo periodo i vecchi libri si degradano sempre di più: si accumulano le annate nello stesso registro e, contemporaneamente, diventano sempre più scarni, sempre più manchevoli, soprattutto per quanto riguarda gli esercizi commerciali.

L'antica vasca marmorea proveniente dal bagno principesco.

I numeri civici relativi alle botteghe vengono menzionati semplicemente con l'indicazione del genere di commercio che vi si svolge: calzolaio, corniciaio, sarto ecc., Senza nemmeno il cognome dell'esercente.

La nostra trattoria, seminascosta nel cortile, poteva benissimo sfuggire all'occhio distratto di uno svogliato censore, ma la mia intraprendenza, unita alla cortesia della moglie dell'ultimo titolare e delle sue gentili e belle figliole, che mi hanno fornito a voce la successione cronologica delle ultime gestioni, può ragguagliarvi con precisione sugli ultimi occupanti della già famosa trattoria di Bedeau.

Sappiamo così che tra il 1904 e il 1905 un certo Gentiletti Francesco diventa il nuovo oste ed il suo locale è ben conosciuto in tutta la zona come "l'Osteria di Checco".

Andato via il Gentiletti verso il 1922-23 si succedono fino al 1930 anonime gestioni, tutte di breve durata che non lasciano rilevanti tracce di sé all'infuori di quelle di un certo Cristallini che durò circa un paio d'anni.

Nel 1930 la trattoria fu rilevata da un certo Agostino Tolomei, il quale la gestì fino al 1948, anno in cui subentrò l'attuale conduttore, consorte della mia benemerita informatrice.

Egli proveniva da via della Frezza nella ex zona degli Otto Cantoni (sparita a seguito degli sventramenti per la creazione di piazza Augusto Imperatore) dove aveva un locale che era intitolato "La Trattoria di Otello" dal suo soprannome.

A questa "ragione sociale" egli non intendeva affatto rinunciare in quanto era attraverso essa che erano molto conosciuti sia lui che il suo locale, questo avrebbe potuto comportare l'allontanamento di molta della sua clientela dalla quale, invece, intendeva naturalmente farsi seguire.

" Il problema nasceva dal fatto che la trattoria di via della Croce era già intitolata "Alla Concordia". Gli riuscì di salvare capra e cavoli intitolandola "Da Otello alla Concordia" come ancora oggi figura nell'insegna luminosa fuori del portone.

Le origini di questa denominazione "Alla Concordia" mi sono rimaste, purtroppo, sconosciute. Nel 1867 Nino Costa la chiama semplicemente "la trattoria di Bedeau" però non possiamo escludere che già si chiamasse così: a volte un locale è più noto per il nome del suo gestore con il quale, magari, si intrattiene un rapporto di superficiale conoscenza.

Che sia stato lo Spillmann a battezzarla con quel nome?

Ai tempi di Checco Gentiletti essa era decisamente "La Concordia" lo asserisce egli stesso in una cartolina vergata di suo pugno, e purtroppo senza data, in possesso degli attuali proprietari.

Essi comunque asseriscono che fu loro detto trattarsi di una denominazione molto antica.

A parte questo piccolo mistero, siamo riusciti a ricostruire, sia pure per grandi linee, la storia del nostro locale per ben quindici decenni.

Dai tempi del Credenziere Polacco alla "Concordia del Sig. Otello" ne è passata di acqua sotto i ponti del biondo Tevere!

Certo con l'andare del tempo saranno stati effettuati rinnovi, trasformazioni e qualche ingrandimento, pure il suo cuore, il suo centro resta sempre quel "locale terreno del primo cortile diritto al portone" secondo la descrizione degli antichi registri, e cioè la grande sala quadrata dal soffitto a botte sostenuto al centro da un ampio e solido arco, con quattro vele per parte nel soffitto e, a fianco un vasto ambiente rettangolare che corre lungo tutto il lato destro; di qui, poi, l'angusto passaggio che porta alla cucina.

La prima volta che la nostra trattoria entra nella storia fu 1'1l febbraio 1867.

Quella sera vi si riunirono a cena i giovani rampolli di dieci fra le famiglie più in vista della nobiltà romana e precisamente:

Guido Carpegna, il conte Lovatelli, il marchese Santasilia, Marcantonio Colonna, Giannettino Doria, Ignazio Boncompagni dei Principi di Piombino, Baldassarre e Ladislao Odescalchi e N.Ruspoli.

Al levar delle mense si brindò entusiasticamente a Vittorio Emanuele II Re d'Italia e a Roma Capitale.

Ne fu informata la polizia e furono tutti assoggettati a strettissima sorveglianza segreta ed in seguito molti di loro vennero esiliati.

L'episodio fece molto scalpore e viene riferito anche dal Roncalli e dal De Cesare ma e solo il Leti (4) che precisa il luogo del...misfatto.

Non sappiamo se a quella data Nino Costa l'avesse già elevata a base segreta; oppure non avesse ancora scoperto i rinomati pasti e le più e diverse vie di scampo in caso di sorprese poliziesche.

E' proprio qui, allora, che sono venuti, in quel piovoso ottobre del 1867 col favore delle tenebre, usando mille precauzioni Francesco Cucchi inviato da Garibaldi a dirigere la cospirazione, Giuseppe Guerzoni luogotenente del Generale e suo primo biografo, Enrico e Giovanni Cairoli i leggendari fratelli animatori della sfortunata spedizione di Villa Glori.

Qui era addirittura di casa il povero "Memmo", quel Domenico Acquaroni che, ferito gravemente nello scontro a fuoco di Vigna Matteini e fatto prigioniero, dovette attendere la "Breccia"

per essere liberato dal carcere duro; la sua famiglia abitava il mezzanino sovrastante!

E non abbiamo citato Giulio Adamoli che il Costa, nelle stesse pagine, presenta come un giovane biondo, bello ed elegante, presenza quanto mai giovevole per un futuro deputato nonché Sottosegretario agli Esteri!

E poi, Giovanni Cadolini che diverrà Presidente della Camera dei Deputati, Adolfo Sassi e Luigi Cicconetti che hanno lasciato diario fedele di quegli avvenimenti nonché il chirurgo di S. Spirito in Sassia Alessandro Angelucci e l'avvocato Giuseppe Leti che dopo il 1870 presiederà l'Associazione fra i Perseguitati ed i Processati Politici.

Infine, sebbene non risulti confermato da alcuna parte, non è da escludere che anche Romeo e Serafino Matteini possano esservi passati, implicati come erano nel complotto e dato anche che il loro zio aveva laboratorio di sartoria nel negozio accanto al portone.

È doveroso, quindi, considerare un vero regalo della sorte che questo locale sia giunto intatto sino a noi nel suo aspetto e nella sua attività, con tutto il suo carico di storia e di personaggi illustri.

In questi tempi convulsi dove non é facile la sopravvivenza nemmeno dei grandi monumenti del passato, tempi nei quali la febbre della speculazione o del modernismo ha provocato vuoti e guasti a non finire, la nostra modesta trattoria è ancora li a ricordarci fatti gloriosi ed eroiche figure di Uomini.

E non sorridete da scettici se vi dico che, ancora oggi, camminando per via della Croce, davanti al portone numero 81, una signora dai capelli grigi, si sente inumidire gli occhi dalla commozione.

Pensate che sia un'esagerazione?

Vittorina Novara Matteini

1 Massimo GRILLANDI, Vita di G. G. Belli, pag. 54.

2 Massimo GRILLANDI, Vita di G. G. Belli, pag. 54.

3 Nino COSTA, Quel che vidi e quel che intesi, pag. 193.

4 Giuseppe LETI, Roma e lo Stato Pontificio dal 1849 al 1870, pag. 213.
Sull'argomento v. Andrea BUSIRI VICI, I Poniatowski, pp. 255, 256, 257, 258.